Home Nazionale ‘500 sanitari uccisi e ancora l’epidemia non è vinta, basta errori e leggerezze’ Il mea culpa dell’associazione, anche tra di noi in pochi erano preparati

‘500 sanitari uccisi e ancora l’epidemia non è vinta, basta errori e leggerezze’ Il mea culpa dell’associazione, anche tra di noi in pochi erano preparati

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Milano, 23 mar. (AdnKronos Salute) – Un evento straordinario servito a rivelare al mondo “quanto siano lenti e inefficienti i sistemi sanitari e umanitari nel rispondere alle emergenze”. Così, un anno dopo i primi allarmi lanciati sull’epidemia di Ebola, Medici senza frontiere descrive il dramma del virus in Africa occidentale nel rapporto-denuncia ‘Pushed to the limit and beyond’, ‘Spinti al limite e oltre’. Un’analisi critica – ma anche autocritica – in cui la Ong descrive le conseguenze di “una coalizione globale dell’inazione che è durata per mesi mentre il virus si diffondeva sempre più”. E l’associazione avverte: “Nonostante la diminuzione complessiva dei casi, Ebola non è ancora finita”.
Nell’ultimo anno, ricorda l’organizzazione umanitaria, “più di 1.300 operatori internazionali di Msf e 4.000 operatori locali hanno lavorato in Africa occidentale, prendendosi cura di quasi 5.000 pazienti confermati”. Forti di questi numeri “oggi condividiamo le nostre riflessioni – spiega Joanne Liu, presidente internazionale di Medici senza frontiere – e guardiamo con occhio critico sia la risposta di Msf che quella globale alla più grave epidemia di Ebola della storia. Un evento fuori dall’ordinario – denuncia quindi Liu – che ha rivelato quanto siano lenti e inefficienti i sistemi sanitari e umanitari nel rispondere alle emergenze”.
L’associazione ha vissuto l’impasse in prima linea: “Alla fine di agosto – raconta – il centro ELWA3 di Msf a Monrovia” in Liberia “era stracolmo di pazienti. Lo staff era costretto a respingere persone visibilmente malate, pur sapendo che sarebbero tornate alle loro comunità e avrebbero potuto infettare altre persone”. “L’epidemia di Ebola è stata spesso descritta come una tempesta perfetta: un’epidemia transfrontaliera in Paesi con sistemi sanitari deboli, che non avevano mai conosciuto l’Ebola prima”, afferma Christopher Stokes, direttore generale di Msf. “Ma questa è una spiegazione di comodo – precisa – Perché l’epidemia di Ebola andasse a tal punto fuori controllo, molte istituzioni dovevano sbagliare. E così è stato, con conseguenze tragiche ed evitabili”.
Nel rapporto, Msf ripercorre le sfide affrontate in un anno di epidemia “in mancanza di trattamenti specifici e risorse sufficienti. Dal momento che l’esperienza di Msf con l’Ebola era limitata a un gruppo relativamente ristretto di esperti, è stato difficile mobilitare in breve tempo più risorse. Di fronte a un’epidemia così violenta e a una risposta internazionale così debole”, le equipe “si sono concentrate sul controllo dei danni”. E “non essendo in grado di fare tutto sono dovute scendere a compromessi su priorità di pari importanza come la cura dei pazienti, la sorveglianza epidemiologica, le sepolture sicure e le attività di sensibilizzazione, tra le altre”.
“Nei momenti più critici dell’epidemia – riporta Liu – le equipe di Msf non erano in grado di ammettere un maggior numero di pazienti o di fornire la migliore assistenza possibile. Tutto questo è stato estremamente doloroso per un’organizzazione di medici volontari e ha portato ad accese discussioni e tensioni all’interno di Msf”.
Un “processo di riflessione ancora in corso”, puntualizza l’organizzazione, con “l’obiettivo di imparare lezioni che potranno essere applicate a epidemie future, mentre si analizzano i dati dei pazienti per esaminare i fattori che contribuiscono alla mortalità da Ebola”. Non solo: “E’ fondamentale sviluppare una strategia globale per sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini, trattamenti e strumenti diagnostici contro l’Ebola”.
“Il trauma dell’Ebola – si legge ancora nel rapporto di Medici senza frontiere – ha lasciato persone diffidenti nei confronti delle strutture mediche, operatori sanitari demoralizzati e timorosi di riprendere servizio, comunità in lutto, impoverite e sospettose”. Senza contare che “nei tre Paesi più colpiti” e cioè Guinea, Sierra Leone e Liberia, “quasi 500 operatori sanitari hanno perso la vita lo scorso anno, un duro colpo per la già grave carenza di personale prima dell’Ebola. Ripristinare l’accesso ai servizi sanitari è quanto mai urgente ed è il primo passo verso la ricostruzione di funzionali sistemi sanitari nell’area”.
“Questa epidemia – denuncia ancora il report – ha brutalmente rivelato gravi fallimenti globali che migliaia di persone hanno pagato con la vita. Da essa dobbiamo imparare lezioni importanti a beneficio di tutti: dalla precarietà dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo alla paralisi e debolezza degli aiuti internazionali”.
Intanto “abbiamo ancora una sfida fondamentale da affrontare”, ammonisce la Ong. Perché “per dichiarare la fine dell’epidemia è necessario identificare ogni singola persona che sia stata in contatto con un malato di Ebola. Non c’è spazio per errori e leggerezze. Il numero di nuovi casi a settimana è ancora più alto che in qualsiasi precedente epidemia e i casi complessivi non sono diminuiti in modo significativo dalla fine di gennaio. In Guinea il numero di pazienti è di nuovo in aumento; in Sierra Leone presentano il virus molte persone che non erano nelle liste di contatti Ebola conosciuti, e in Liberia si è registrato in questi giorni un nuovo caso, il primo dopo le dimissioni dell’ultimo paziente a inizio mese”. La guerra al virus non è stata ancora vinta.