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Fondazione studi, bene restyling somministrazione e contratti a termine

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Roma, 14 lug. (Labitalia) – “Un testo più semplice, efficace e innovativo per molti aspetti che rende i contratti attualmente in vigore più coerenti con le esigenze del contesto occupazionale e produttivo”. Così la Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, nella circolare 14, definisce i contratti a termine e di somministrazione dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 15 giugno 2015, numero 81, sul riordino delle tipologie contrattuali.
“Nel caso dei contratti a termine -precisa- rimane il limite temporale, già in vigore, per cui è consentita l’apposizione del termine non superiore a 36 mesi al contratto di lavoro subordinato. Nel computo di tale termine di 36 mesi si considera la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale (operai, impiegati e quadri), indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro”.
Inoltre, aggiunge, “nel computo del termine di 36 mesi vanno considerati anche periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato”.
“Il riferimento a ‘mansioni di pari livello e categoria legale’ (mentre nella precedente disposizione il riferimento era a ‘qualunque mansione’) parrebbe avere -spiega la Fondazione studi- un connotato meno restrittivo per il datore di lavoro, che potrebbe assumere il medesimo lavoratore con un nuovo contratto a tempo determinato, in categorie legali differenti, per superare così il limite massimo di durata”.
“Tale indicazione -avverte- parrebbe essere in conflitto proprio con le limitazioni di estensione indicate all’articolo 19, comma 1. Dal 25 giugno 2015, quindi, il datore di lavoro dovrà aver cura di verificare l’inquadramento (livello e categoria) del lavoratore sia nei rapporti in somministrazione intercorsi, sia nei contratti a tempo determinato, per determinare l’eventuale loro cumulabilità ai fini del raggiungimento del limite massimo temporale”.
“Per quanto riguarda la riforma -sottolinea la Fondazione studi dei consulenti del lavoro- che ha interessato il rapporto di somministrazione, questa si muove lungo due direttrici: da un lato, c’è un ampliamento delle maglie della normativa, che consente il ricorso in maniera diffusa a questa particolare tipologia di contratto di lavoro; dall’altro, vengono posti dei limiti, di natura legale, oggettivamente non sempre comprensibili”.