Home Attualità Il 67% dei lavoratori ‘on line’ anche fuori ufficio, ma non a tutti dispiace

Il 67% dei lavoratori ‘on line’ anche fuori ufficio, ma non a tutti dispiace

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Roma, 14 lug. (Labitalia) – Se la tecnologia permette di essere connessi ovunque e in qualsiasi momento, inevitabilmente oggi il lavoro entra sempre più insistentemente nella vita privata. Così, il 67% dei lavoratori italiani deve essere disponibile per il datore di lavoro anche al di fuori dell’orario d’ufficio. E al 55% è richiesta reperibilità tramite telefono e email durante le ferie. Ma sei dipendenti su dieci, in particolare i più giovani, non sono dispiaciuti di questa situazione, con la grande maggioranza che si dice comunque in grado di ‘staccare la spina’ durante le vacanze.
Sono alcuni dei risultati del Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro realizzata in 34 Paesi da Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, dedicata nel secondo trimestre 2015 al tema ‘Orario di lavoro e tempo libero: i confini si dissolvono’. La popolazione di riferimento dello studio è costituita dalle persone con età compresa tra i 18 e i 67 anni che lavorano per almeno 24 ore alla settimana e percepiscono un compenso economico per questa attività (minimo 400 interviste per ciascun Paese, in Italia sono state intervistati 405 lavoratori).
In realtà, emerge un’ambivalenza tra la reale possibilità di scelta e l’obbligo di lavorare nel tempo libero, mentre il superamento dei vincoli tradizionali è sancito dal 78% degli italiani che preferirebbe poter scegliere tra le ferie e un corrispettivo in denaro. Contemporaneamente, le questioni private entrano anche nell’orario di lavoro. Al 55% dei lavoratori è permesso portare i propri device personali (pc, smartphone o tablet) e di usarli per scopo lavorativo. E il 57% dei lavoratori italiani affronta anche questioni personali durante l’orario di lavoro.
“La ricerca mostra come si stiano dissolvendo confini socialmente condivisi del mondo del lavoro, rendendo spesso indistinguibile tempo e luogo di lavoro da quelli della vita privata”, afferma Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia.
“Una trasformazione radicale ed estremamente rapida, resa possibile dalle nuove tecnologie, che può costituire – sottolinea – un’opportunità di maggiore produttività e raggiungimento degli obiettivi professionali. Ma che deve essere governata attraverso un’adeguata organizzazione del lavoro per evitarne effetti patologici sulla salute delle persone”.
“La fotografia scattata dal Workmonitor – prosegue Ceresa – infatti non mostra ancora piena consapevolezza tra i diversi attori delle conseguenze di questo processo di ‘commistione’ tra lavoro e vita privata nel medio-lungo periodo. Aziende e lavoratori, in particolare le generazioni più giovani, la vivono ormai come normale, ma emerge anche uno stato di ansia per la pressione a restare sempre connessi. È necessario, da un lato, interrogarsi sulle ripercussioni sociali profonde di una simile trasformazione, dall’altro assicurare l’equilibrio per garantire insieme la giusta flessibilità e il recupero psico-fisico durante il tempo libero”.
Entrando nel dettaglio dei risultati della ricerca, il 67% dei dipendenti italiani ha un datore di lavoro che richiede la sua disponibilità al di fuori dell’orario d’ufficio. Quello dell’Italia è un valore più alto della media globale, pari al 57%, che la colloca al settimo posto tra i 34 Paesi oggetto di indagine nella classifica globale. In testa si posiziona la Cina con l’89% di lavoratori reperibili, in coda la Svezia con il 40% (in generale i Paesi asiatici si trovano ai primi posti, il Nord Europa agli ultimi).
La reperibilità fuori orario in Italia appare in forte crescita rispetto a tre anni fa, quando era prerogativa solo di quattro lavoratori su dieci. Inoltre, se nel 2012 si notavano differenze per età, oggi appare universale sia per i lavoratori più giovani che per quelli più maturi.
Il 60% dei dipendenti italiani, in ogni caso, non si dice dispiaciuto di occuparsi di questioni di lavoro nel tempo libero (più della media globale, pari al 56%), con un aumento di 4 punti percentuali rispetto al 2012. Ma la buona disposizione alla reperibilità fuori dall’ufficio cresce soprattutto nella fascia più giovane dei lavoratori di 18-44 anni, che non nel 65% dei casi si dice dispiaciuti, rispetto al 52% delle persone di 45-67 anni (tre anni fa la differenza era quasi inesistente).
Fuori dall’orario d’ufficio il 69% dei lavoratori italiani risponde immediatamente a chiamate e messaggi di posta elettronica di lavoro (sopra la media globale, pari al 56%). Il 64% sceglie, invece, di rispondere a chiamate al lavoro e email in un altro momento più conveniente (meno della media globale, 69%). L’atteggiamento degli intervistati italiani sembra rivelare in questo caso uno stato d’ansia e insieme una volontà̀ di controllare la situazione.
Contemporaneamente, si assiste a un fenomeno opposto: crescono le incombenze private svolte durante l’orario di lavoro. Una tendenza comune a livello globale, che interessa in media il 64% dei lavoratori nel mondo (erano il 40% tre anni fa). E in minor misura anche gli italiani, che nel 57% dei casi affrontano questioni private durante l’orario di lavoro: un valore in crescita del 24% rispetto al 2013.
Secondo il 55% dei lavoratori italiani, infine, il datore di lavoro ha attuato una politica ‘Byod’ (bring your own device) che permette di portare i propri dispositivi personali e di usarli per scopo lavorativo. Una scelta che riguarda in media il 41% dei dipendenti nel mondo, specificamente nei Paesi asiatici a maggiore sviluppo, ma anche il 53% degli Usa, il 52% in Germania e Austria, il 48% in Svizzera e Norvegia.