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Prende piede lo smart working, progetti nel 17% delle grandi imprese

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Milano, 20 ott. (Labitalia) – Lo ‘smart working’ prende piede in Italia. Nonostante l’assenza di evoluzioni normative – neanche all’interno del Jobs Act – si moltiplicano i progetti delle imprese che provano ripensare il lavoro in un’ottica intelligente, mettendo in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario, lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, realizzata attraverso un’analisi empirica e il confronto diretto con oltre 240 organizzazioni pubbliche e private in Italia, che è stata presentata questa mattina al convegno ‘Smart Working: scopriamo le carte!’, nella sala conferenze del Centro Servizi della Banca Popolare di Milano.
Nel 2015, infatti, il 17% delle grandi imprese italiane ha già avviato dei progetti organici di smart working, introducendo in modo strutturato nuovi strumenti digitali, policy organizzative, comportamenti manageriali e nuovi layout fisici degli spazi (lo scorso anno erano l’8%). A queste si aggiunge il 14% di grandi imprese in fase ‘esplorativa’, che si apprestano cioè ad avviare progetti in futuro, e un altro 17% che ha avviato iniziative puntuali di flessibilità solo per particolari profili, ruoli o esigenze delle persone.
Quasi una grande impresa su due, quindi, sta andando in modo strutturato o informale verso questo nuovo approccio all’organizzazione del lavoro. L’analisi critica delle tante iniziative in atto consente oggi di delineare pratiche e linee guida di smart working nell’ambito dei vincoli e degli spazi di manovra concessi dalla normativa esistente.
Tra le pmi, però, la diffusione risulta ancora molto limitata: solo il 5% ha già avviato un progetto strutturato di smart working, il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia, oltre una su due non conosce ancora questo approccio o non si dichiara interessata. Parallelamente, si diffondono fenomeni che riprendono ed estendono i principi dello smart working anche fuori dall’impresa. Su tutti, il coworking, di cui si contano 349 spazi in Italia, 88 nella sola Milano1: strutture che offrono luoghi flessibili on demand e un’esperienza di lavoro ‘smart’, rivolgendosi ormai non solo a liberi professionisti, startup e microimprese, ma anche alle aziende più grandi, con il 71% dei manager che li ritiene un’opportunità anche per organizzazioni strutturate.
“La ricerca dimostra come lo smart working si stia diffondendo in Italia: molte organizzazioni nell’ultimo anno hanno iniziato a interessarsi e adottare questo approccio, con un effetto positivo su persone, aziende e società, soprattutto grazie all’opportunità di ripensare stili manageriali e modalità di gestione ormai superati”, dice Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working.
“Le organizzazioni devono però evitare l’errore – avverte – di farsi trascinare dall’effetto moda, introducendo un cambiamento solo superficiale, senza cogliere l’opportunità di ripensare profondamente cultura e modelli organizzativi per liberare nuove energie dalle persone. Fare davvero smart working, cioè, è un percorso lungo e profondo di continua evoluzione. Significa andare oltre l’introduzione di singoli strumenti e creare un’organizzazione orientata ai risultati, fondata su fiducia, responsabilizzazione, flessibilità e collaborazione”.
“Per introdurre lo smart working in un’organizzazione – spiega Fiorella Crespi, direttore dell’Osservatorio Smart Working – è necessario considerare innanzitutto le proprie specificità interne e cercare una coerenza con gli obiettivi e la strategia di business, per poi trovare equilibri che vanno incontro alle esigenze e alle aspirazioni delle persone, sfruttando al meglio le opportunità dei nuovi strumenti digitali”.
“Servono la condivisione – prosegue – dei lavoratori rispetto a strategia, valori, obiettivi e performance, un nuovo approccio dei manager, da ‘controllori’ a leader degli obiettivi, il supporto alle persone per decidere autonomamente le modalità̀ con cui svolgere le proprie attività̀. Le organizzazioni che hanno intrapreso questo cammino sono sempre di più̀, ma non esiste un’unica ricetta per tutti: il percorso deve tenere considerare i reali obiettivi e i diversi punti di partenza”.
Lo strumento di gran lunga più diffuso tra le imprese italiane che hanno introdotto una qualche iniziativa di lavoro ‘smart’ sono i device mobili – come pc portatili, tablet o smartphone – che consentono di lavorare anche fuori dalla postazione, sia all’interno che all’esterno della sede aziendale: sono già presenti nel 91% delle grandi imprese (e nel 49% delle pmi). Ma ampiamente diffusa è anche la flessibilità di orario, presente nell’82% delle grandi organizzazioni e nel 44% delle pmi. E poi la social collaboration (social nework, forum/blog, sistemi di chat o instant messaging, web conference, sistemi di condivisione dei documenti), attivata già dal 77% di grandi imprese e dal 34% di pmi.
Meno della metà delle grandi imprese e un quarto delle pmi, invece, ha introdotto forme di flessibilità di luogo di lavoro, mentre solo il 20% delle grandi organizzazioni e il 22% delle pmi ha introdotto innovazioni nel layout fisico degli spazi di lavoro, indubbiamente la leva meno utilizzata.
Sebbene le persone lavorino sempre più̀ in mobilità – il 31,4% dei lavoratori che trascorre già più̀ della metà del suo tempo lontano dalla postazione di lavoro per muoversi sia all’interno sia che all’esterno della sede aziendale – il cambiamento nei comportamenti non trova ancora corrispondenza in spazi e ambienti in grado di supportare la mobilità. “L’ufficio rimane ancora un luogo chiave dell’attività di lavoro, ma deve trasformarsi ed essere ripensato e progettato ponendo al centro le persone e i loro comportamenti”, dice Fiorella Crespi, direttore dell’Osservatorio Smart Working.
“La progettazione di un ambiente in grado di supportare lo smart working deve tenere in considerazione diversi aspetti: la differenziazione degli spazi per soddisfare le diverse esigenze delle persone, dagli open space ai locali per comunicare o per collaborare in modo informale, la riconfigurabilità degli ambienti per dimensione e scopo, ‘abitabilità’ per avere un ambiente accogliente, attento al benessere e al comfort, con spazi e servizi per la cura della persona e in grado di soddisfare esigenze professionali, dalla mensa al relax”, spiega.
Per quanto riguarda, poi, il coworking, è un fenomeno che sta diventando sempre più rilevante in Italia, sia per la crescita degli spazi dedicati sia per l’interesse delle imprese, anche di grandi dimensioni: il 71% dei manager ritiene che il coworking sia un’opportunità anche per aziende strutturate (il 31% crede si diffonderà come alternativa al lavoro da casa o da altre sedi aziendali, il 40% che sia un’opportunità ma non è convinto che possa diffondersi). Solo il 16% dei manager lo giudica un fenomeno riservato a start up e professionisti.
La relazione tra sviluppo del coworking e adozione di modelli di lavoro smart working appare quindi evidente, eppure ad oggi solo il 36% delle aziende che danno la possibilità̀ di lavorare fuori postazione identifica gli spazi di coworking come una delle possibili alternative. Le principali barriere all’utilizzo del coworking da parte dei dipendenti delle aziende riguardano il timore sulla sicurezza dei dati aziendali (individuato dal 58% degli intervistati), poiché non tutte le organizzazioni sono ad oggi sufficientemente mature da garantire di lavorare fuori ufficio accedendo ai dati aziendali con garanzia di confidenzialità̀ e integrità.
Il 59% dei manager si attende dal coworking, in particolare, benefici legati a uno scambio di conoscenza tra chi usufruisce di questa modalità̀ di lavoro, ma sono rilevanti anche la riduzione dei tempi/costi di spostamenti casa-ufficio e la riduzione del senso di isolamento per l’utilizzo eccessivo dell’home working.