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Roma, 14 mag. (AdnKronos) – Trovarsi appesi a quattro metri da terra, su una parete di arrampicata indoor, con le braccia esauste e le mani in una presa, il sudore che cola sugli occhi a un passo dall’obiettivo – il cosiddetto Top – senza riuscire a toccarlo per completare la prova e maledire la stanchezza ma sentirsi bene lo stesso.
Perché? “Perché il fallimento e la caduta sono valori da riscoprire, soprattutto nella nostra cultura, per uscire dalla richiesta tirannica di essere sempre vincenti”. E’ quanto raccontano all’Adnkronos due psicoterapeuti, l’analista bioenergetico Marco Bruci e l’analista transazionale Chiara Scialanca, che dal 2012 tengono a Roma una serie di incontri-sedute di Therapy Climbing assieme a Giorgio Tuscolano, arrampicatore laureato in scienze motorie.
Un’attività che può essere rivolta a chi già fa un percorso terapeutico ma anche a chi vuole partecipare ‘spot’ a giornate tematiche, dedicate ad ansia, paura o dipendenza affettiva, pur non avendo una psicoterapia in corso e non avendo mai arrampicato. Perché, afferma Scialanca, “uno degli aspetti stimolanti è legato all’esperienza di contatto con sé, indipendentemente dal livello di consapevolezza del ‘bisogno’ terapeutico”.