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Natale: acciughe protagoniste a tavola, in aumento vendite

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Roma, 22 dic. (Labitalia) – La cena della vigilia di Natale rappresenta da sempre un vero e proprio tributo alla cucina di pesce, quella ‘povera’, gustosa e tipica della nostra tradizione che non ha nulla da invidiare ai costosissimi astici, aragoste e caviale. I pesci azzurri, le acciughe o le alici, in ogni angolo d’Italia ci troviamo, rappresentano infatti uno dei simboli del Natale gastronomico.
Questo alimento però non è solamente un must delle festività Natalizie, ma viene consumato regolarmente tutto l’anno. Secondo i dati Nielsen elaborati da Ancit (Associazione nazionale conserviere ittici e delle tonnare) le vendite a volume in Italia negli ultimi 12 mesi (ottobre 2015 / 2016) di acciughe in conserva (salate / sott’olio) hanno superato le 4.500 tonnellate (+1% rispetto al 2015).
Sebbene la stagione della pesca delle acciughe vada da marzo a settembre, grazie ai metodi di conservazione sotto sale o sott’olio e alla trasformazione in pasta, questi piccoli e gustosi pesci possono essere infatti consumati tutto l’anno, arricchendo la dieta di numerosi nutrienti indispensabili per la salute dell’uomo: le proprietà nutrizionali delle acciughe fresche si mantengono infatti nelle acciughe in conserva.
C’è differenza tra le acciughe fresche e quelle conservate? Come ricorda Pietro Antonio Migliaccio, presidente onorario della Sisa (Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione), “le acciughe sott’olio hanno un contenuto maggiore di omega 3, ben 11 grammi per cento, perché oltre agli acidi grassi presenti nel pesce vanno aggiunti quello dell’olio”.
In generale un’alimentazione che preveda il consumo di acciughe, prosegue Migliaccio, “apporta diversi benefici per la salute. Hanno un notevole apporto proteico, fornendo 26 g di proteine nobili ogni 100 g di prodotto. Sono inoltre ricche di acidi grassi Omega 3, di calcio, fosforo, vitamina D e molti altri nutrienti essenziali per molteplici funzioni biologiche”.
Percorrendo lo Stivale da Nord a Sud, troviamo un’infinità di sapori e abbinamenti che vedono le acciughe protagoniste dei piatti natalizi. Non si può non partire dai “peperoni in bagna cauda”, antipasto onnipresente nelle tavole del Natale Piemontese.
Spostandoci poi nel Veneto troviamo i bigoli in salsa di acciughe che, secondo la tradizione, venivano consumati durante i giorni di magro, il venerdì Santo e il mercoledì delle Ceneri. Arriviamo in Toscana dove il ‘tortino di acciughe e pappa al pomodoro’ è da sempre un simbolo gastronomico della Vigilia, oltre che un antipasto facile e veloce da preparare.
Dal Centro al Sud Italia. In Campania, il menù del 24 dicembre prevede quasi sempre spaghetti con le vongole ma i piatti a base di acciughe, di certo non mancano: dalle alici marinate fino agli abbinamenti più particolari come i calamari ‘saporiti’ con ripieno di scarola e acciughe.
Nell’estremo sud invece un’antichissima tradizione vuole che per la cena della Vigilia si prepari la pasta ‘ammuddicata’ siciliana, con alici e molliche di pane. Piatto semplice, nato nella cucina delle classi più povere che, non potendosi permettere grandi lussi e sfarzi nemmeno durante la festa più sentita dell’anno, condivano la pasta con la mollica del pane raffermo.
Immancabili nel menù natalizio italiano e consumate tutto l’anno grazie alla loro versatilità e accessibilità, le acciughe si sono fatte spazio anche nelle cucine di tutto il mondo sin da tempi molto antichi. Si trovano cenni sulle modalità di conservazione sotto sale di questo pesce già nell’Antico Egitto e nell’Antica Grecia: lo storico greco Erodoto nel IV secolo a.C. le consigliava nell’alimentazione al posto della carne, fresche o conservate.
I romani utilizzavano il garum, celebre condimento derivato dalle interiora del pesce di cui parla anche il gastronomo Marco Gavio Apicio nel suo De Re Coquinaria – antologia di ricette che rappresenta la principale fonte sulle origini dell’antica cucina romana. Apicio inserisce le acciughe tra gli ingredienti della cucina patrizia insieme ad altri pesci salati (tonno, sgombro, ricci di mare, triglie) di cui si faceva largo consumo, probabilmente maggiore di oggi.