Home Nazionale Protesi più somiglianti all’arto naturale aiutano anche nel movimento

Protesi più somiglianti all’arto naturale aiutano anche nel movimento

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Roma, 1 mar. (AdnKronos Salute) – Sviluppare protesi con un’intelligenza superiore, capaci di rilevare l’errore e correggerlo in corsa, esattamente come fa il nostro cervello in natura. E’ questo l’obiettivo in cui si inserisce lo studio appena concluso da un team di ricercatori della Sapienza e della Fondazione Santa Lucia di Roma, che hanno scoperto i segni elettroencefalografici legati alla percezione di uno sbaglio. Una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati sul ‘The Journal of Neuroscience’, e che permetterà di sviluppare protesi ‘smart’.
Venti volontari, immersi attraverso occhialini 3D nell’ambiente virtuale di un Cave System – una stanza con pareti retroproiettate – hanno sperimentato il compito di afferrare un bicchiere sul tavolo mediante un braccio-avatar vissuto come parte del proprio corpo. L’arto virtuale era programmato per compiere correttamente il gesto nel 70% dei casi ed erroneamente nel restante 30%. Attraverso un caschetto normalmente utilizzato nei sistemi di interfaccia cervello-computer, i ricercatori hanno osservato i segnali elettrofisiologici dell’attività cerebrale durante lo svolgimento dell’azione.
“Abbiamo rilevato – spiega Enea Pavone, coordinatore del team di ricerca – che quando il soggetto percepiva l’errore si verificava un’amplificazione dell’attività corticale, con una modifica dei segnali elettrofisiologici sia dal punto di vista delle frequenze che dei tempi. In più i test scientifici ci hanno confermato l’importanza di realizzare protesi che siano percepite dal soggetto in modo sempre più naturale come parte del proprio corpo”.
L’importanza della percezione della protesi come parte del proprio corpo (embodiment) è l’altro risultato interessante della ricerca, riferisce una nota dell’università Sapienza. Ai volontari sottoposti all’esperimento veniva infatti anche chiesto di comunicare verbalmente l’intensità con cui percepivano il braccio-avatar come parte di sé. In più, all’estremo opposto dell’esperienza di embodiment le stesse azioni, con le medesime percentuali programmate di 70% di azioni corrette e 30% erronee, sono state ripetute da un avatar posto di fronte ai volontari, che in questo caso dovevano solo osservare.
I segnali elettrofisiologici si sono rilevati sempre meno chiari, quanto meno le persone monitorate percepivano l’azione come compiuta con il proprio corpo. “Questo dato – prosegue Pavone – spiega l’importanza non solo estetica di realizzare protesi bioniche sempre più simili all’arto naturale del soggetto, per dimensioni, aspetto esteriore, posizionamento e orientamento rispetto a tutto il corpo”.
“Aver osservato e isolato i segnali elettrofisiologici del cervello, quando percepisce che sta commettendo un errore – commenta Salvatore Maria Aglioti, responsabile del Laboratorio di Neuroscienze sociali e cognitive che raggruppa il team di ricercatori coinvolti nello studio – ci fornisce informazioni importanti per lo sviluppo di una nuova generazione di interfacce cervello-computer e di protesi intelligenti, che superano la logica binaria tipica di qualsiasi linguaggio digitale. Possiamo così puntare a realizzare tecnologie capaci d’intervenire sulle attività motorie con più alternative comportamentali, in grado di correggere in tempo reale l’errore che si sta verificando. E’ il passaggio da macchine che eseguono un comando di movimento, a macchine intelligenti che svolgono un’azione come in natura”.