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Terrorismo: arriva diaspora Is, Ue si frammenta quando serve unità

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Bruxelles, 27 dic. (AdnKronos) – In Europa il legame tra criminalità e terrorismo è più vivo che mai: in questa parte del mondo “terroristi e criminali reclutano adepti nello stesso milieu”. Per contrastare gli attacchi perpetrati dalle cellule di jihadisti-criminali, gli Stati dell’Ue “devono lavorare insieme per condividere informazioni e intelligence” sui sospetti, che hanno spesso legami transnazionali. E una delle “preoccupazioni più grandi” per le autorità che si occupano di contrasto al terrorismo è che, proprio mentre la minaccia derivante dal legame tra criminalità e terrorismo “sta crescendo”, le forze “anti-global (populiste e nazionaliste, ndr) si rafforzano”.  
A sottolinearlo è Colin P. Clarke, Associate Fellow dell’International Centre for Counter-Terrorism dell’Aja e scienziato politico per la Rand Corporation, in un recente intervento dedicato al legame tra terrorismo e criminalità. Mentre tra gli addetti ai lavori si dibatte dell’esistenza di questo legame a livello mondiale, cosa su cui è bene esercitare “un salutare scetticismo”, il legame terrorismo-criminalità è “vivo e vegeto” nel Vecchio Continente. Si tratta di un dato acquisito, per l’Europa: già nel 2006 uno studio del Netherlands Institute of International Relations, ricorda ClarKe, concludeva che un quarto dei jihadisti esaminati aveva la fedina penale sporca. 
Molti terroristi europei, ricorda Clarke, erano coinvolti in qualche tipo di attività criminale prima di abbracciare il Jihad, inclusi Abdelhamid Abaaoud, tra gli organizzatori degli attacchi di Parigi del novembre 2015, e Ahmed Coulibaly, figura chiave degli attacchi di Parigi iniziati con il raid nella redazione di Charlie Hebdo. Anche Mohamed Lahouaiej Bouhlel, il terrorista che alla guida di un camion ha falciato 84 persone sul lungomare di Nizza nel luglio scorso, aveva piccoli precedenti. Altri studi hanno confermato il legame tra adepti del Califfato e criminalità, in percentuali significative.
C’è il pericolo concreto, osserva Clarke, che gli europei di ritorno dalla Siria possano di nuovo dedicarsi ad attività terroristiche e/o criminali una volta rientrati in patria. I jihadisti europei si sono finanziati largamente attraverso frodi (carte di credito, Iva eccetera), furti, rapine a mano armata, prestiti non rimborsati, traffici illeciti di vario tipo (droga, armi, auto, documenti falsi). Gli addetti ai lavori sospettano che proventi del traffico di droga abbiano finanziato diversi attacchi portati a termine sul suolo europeo, dalle bombe di Madrid (2004) agli attentati di Tolosa e di Montauban del marzo 2012, condotti dal franco-algerino Mohammed Merah. 
Una delle conseguenze più importanti dell’esistenza in Europa di un legame comprovato tra criminalità e terrorismo, continua Clarke, è che “per avere la possibilità di contrastare con successo gli attacchi portati a termine da piccole cellule di jihadisti-criminali, le nazioni europee devono lavorare per condividere le informazioni e l’intelligence su sospetti che hanno la base in un Paese, ma hanno reti che si diffondono in altri Stati”. Perché “quello che può apparire come l’arresto di un piccolo trafficante di droga in Italia potrebbe in realtà segnalare l’esistenza di un piano di raccolta fondi con legami a una trama più ampia in Francia”. 
Per prevenire gli attacchi, le forze di Polizia locali “devono lavorare a stretto contatto con le autorità nazionali e dell’Ue”, integrando al meglio l’intelligence raccolta sul campo con i profili e il retroterra di individui che sono stati identificati come foreign fighters, in particolare di coloro che cercano di rientrare in Europa. Questa sarà “una sfida enorme”, specie ora che molti dipartimenti locali di Polizia già soffrono di carenza di risorse. E proprio adesso, quando ci sarebbe bisogno di maggiore cooperazione, “la spinta verso confini più forti, un nazionalismo più vigoroso e sentimenti contrari all’immigrazione, in buona parte sostenuti dalla minaccia del terrorismo, potrebbero fare gravi danni nel lungo termine alla lotta contro il terrore”.
Il 2017, prosegue l’esperto, “potrebbe portare al potere nella Ue un’altra ondata di leader politici populisti e contrari alla globalizzazione. Gli attacchi di Parigi del 2015 e gli attentati di Bruxelles della scorsa primavera (in una città con 19 distretti amministrativi di Polizia separati, che operano indipendentemente l’uno dall’altro) hanno rivelato che l’Ue già oggi soffre di una scarsa condivisione delle informazioni e della mancanza di cooperazione nell’intelligence, sia all’interno dei Paesi Ue che tra i diversi Stati dell’Unione. Una tendenza che continua ad allontanarsi dall’idea di un’Europa federale potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione”.
Infatti, osserva Clarke, “se le divisioni tra i Paesi Ue aumentassero, potrebbe essere difficile mantenere Europol (l’agenzia di lotta al crimine dell’Ue, con sede all’Aja, ndr) nella sua forma attuale, cosa che potrebbe minare ulteriormente, e in modo serio, il coordinamento tra le autorità nazionali di polizia”. La questione della cooperazione tra le autorità e i servizi di intelligence in Europa “è cruciale per la lotta al terrorismo: basti considerare che alcuni degli attentatori di Parigi del novembre 2015 avevano viaggiato dalla Siria alla Turchia fino alla Grecia, per poi passare da Macedonia, Croazia, Slovenia, Austria e Germania, prima di arrivare in Francia”.
A parte il fatto che il tasso più elevato di nazionalismo renderà più difficili i tentativi di cooperazione nel campo della sicurezza con gli Stati più fragili, uno dei grandi pericoli che si stagliano all’orizzonte è quello che il direttore dell’Fbi James Comey “ha definito la Diaspora terrorista, che avrà luogo – continua Clarke – quando schiere di foreign fighters lasceranno il Medio Oriente, a mano a mano che lo Stato Islamico perde terreno sul campo, e tenteranno di tornare in Occidente”.
Secondo alcuni resoconti circolati sulla stampa internazionale, in particolare interviste a disertori dell’Is, lo Stato Islamico potrebbe avere già dispiegato “centinaia di operativi nell’Ue, assicurandosi così una capacità di portare a termini attacchi terroristi a livello internazionale per il prossimo decennio”. E si tratta di una diaspora che “probabilmente avrà più connessioni che mai al sottobosco criminale europeo”.
La coincidenza tra un’ondata di reduci dalla Siria e dall’Iraq che ritornano in Europa e l’intensificarsi delle divisioni politiche tra gli Stati dell’Ue denota l’esistenza di “una grande e significativa sfida per le autorità di polizia e i servizi segreti”. 
Questi soggetti, che operano “già ai limiti delle loro possibilità, devono tentare di prevenire minacce perpetrate da gruppi che operano nell’ombra. Il loro lavoro si già concentrato sul ritorno dei foreign fighters. Quando questi combattenti fanno parte di reti criminali radicati in posti come Molenbeek, in Belgio, nel quartiere di Liselby a Fredrikstad in Norvegia o nelle banlieue di Parigi, allora la minaccia transnazionale arriva molto più vicina a casa”, conclude Clarke.