Home Nazionale Aids: 31 mila italiani con Hiv ed epatite C, no super cure per 17 mila

Aids: 31 mila italiani con Hiv ed epatite C, no super cure per 17 mila

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Seattle, 13 feb. (Dall’inviata dell’AdnKronos Salute Lucia Scopelliti) – Circa 31 mila italiani stretti nella morsa di un doppio nemico. Sono le persone contagiate sia dal virus dell’Hiv che da quello dell’epatite C (quasi 30 mila diagnosticate e poco più di un migliaio ancora inconsapevoli), secondo una stima diffusa da Nadir Onlus e basata sui dati 2016 del Centro operativo Aids (Coa) dell’Istituto superiore di sanità. L’associazione ha voluto scattare una fotografia – la prima – del paziente italiano co-infetto, di come viene gestito e delle criticità presenti. Il risultato è un ‘Libro verde’ che Nadir ha portato all’attenzione in occasione del Croi 2017, la Conferenza internazionale sui retrovirus e le infezioni opportunistiche, che si apre oggi 13 febbraio a Seattle. Il report accende un nuovo faro su un tema già caldo, e cioè le “barriere all’accesso” per le super cure anti-epatite C, contro cui si scontrano anche i pazienti co-infetti.
Dai dati emerge che il 76% dei co-infetti (23.500 circa) ha un’infezione da Hcv attiva (con Rna del virus rilevabile). Secondo i criteri Aifa vigenti per i nuovi farmaci, spiega l’associazione nel documento, “solo 2.901 persone potrebbero avere accesso al trattamento, essendone già state trattate 9.672. In conseguenza, circa 16.800 persone non possono avere accesso ai farmaci anti-Hcv nel nostro Paese”.
E così anche questa categoria di pazienti finisce per esplorare la dimensione dei mercati paralleli: “Quasi la metà (46%) delle persone con Hiv e Hcv cui è stata negata la cura dell’epatite C – segnala Nadir – cerca via alternative per procurarsi i farmaci: il 49% lo fa attraverso Internet, il 23% si è rivolto ad associazioni e il 12% ha chiesto aiuto allo stesso medico curante. Quasi tutti (96%) sarebbero disposti a intraprendere un’azione legale collettiva (class action) per rendere i farmaci anti-Hcv disponibili. Mentre il 79% sarebbe disposto a intraprendere un percorso controllato dalla struttura sanitaria stessa (quindi secondo i canali tradizionali), che richieda il pagamento di una cifra di 1.000 euro per ricevere il trattamento”.
“E’ preoccupante – riflette l’associazione – che nel rapporto medico-paziente argomenti di tipo economico differenti dalla tutela della salute siano all’ordine del giorno”, come dichiara il 62% dei pazienti intervistati. Nadir evidenzia l’urgenza di affrontare il problema: “Le linee guida nazionali e internazionali esortano l’immediato trattamento anti-Hcv delle persone con Hiv. I più̀ solidi dati di letteratura evidenziano come nelle persone con Hiv e Hcv attiva è̀ più̀ a rischio il pieno recupero del sistema immunitario. Inoltre, l’eradicazione dell’Hcv nelle persone con Hiv riduce l’incidenza di diabete, delle sue complicanze e delle malattie renali. Non eradicarla comporta invece un più alto rischio di mortalità̀ dovuta a cause non Aids e non legate al fegato”.
Per la Onlus “è allarmante che il 38% degli intervistati non sappia il proprio grado di fibrosi, parametro in Italia necessario per accedere alla terapia anti-Hcv”, così come preoccupa che il 20% del campione sia stato “lasciato in un limbo dopo il no alla terapia: garantire un percorso di corretta presa in carico a tutti è imprescindibile per la gestione di qualunque malattia”. Nel report si evidenzia che “solo il 6% degli intervistati cui è stata negata la terapia” anti-epatite C “dichiara di essere entrato nelle liste specifiche ‘di attesa’ che tengono traccia della persona e dell’evoluzione della sua malattia”.
Secondo la fotografia scattata dagli autori del report, “la mancanza di cura ha implicazioni di rilievo sulla qualità̀ della vita: il 60% del campione dichiara problemi nell’affettività̀, nella progettazione e, in generale, sulla stabilità psicologica”. Con un “potenziale impatto anche sui costi indiretti”.