Home Nazionale Caso Yara: Dna, furgone e alibi, i punti chiavi del processo Bossetti/Scheda

Caso Yara: Dna, furgone e alibi, i punti chiavi del processo Bossetti/Scheda

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Milano, 29 giu. (AdnKronos) – E’ il 26 novembre 2010 quando si perdono le tracce di Yara Gambirasio. La 13enne va in palestra in via Locatelli a Brembate di Sopra (Bergamo) per consegnare uno stereo, poi il buio la ingoia lungo la strada verso casa. Alle 18.49 il suo cellulare viene spento per sempre. Tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, il corpo viene trovato in un campo abbandonato a Chignolo d’Isola, non lontano da quel cantiere dove conduce il fiuto dei cani utilizzati per le ricerche che impiegano a lungo forze dell’ordine e volontari.
L’autopsia svela le ferite alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. E’ agonizzante, incapace di chiedere aiuto, quando chi l’ha colpita le volta le spalle. Il decesso avviene dopo una lunga agonia quando alle ferite si aggiunge il freddo. Sui leggings e sugli slip della vittima c’è una traccia mista della vittima e di ‘Ignoto 1’, ma per arrivare a dare un nome all’assassino ci vorranno quasi quattro anni di indagini. Un’inchiesta unica al mondo: oltre 118mila utenze telefoniche di cui sono stati acquisiti i tabulati, più di 25mila profili genetici nelle mani di polizia scientifica e Ris. Il 16 giugno 2014 allo sconosciuto viene dato un nome: è Massimo Bossetti, muratore di 44 anni e padre di tre figli.
Per lui l’accusa è di omicidio con l’aggravante di aver adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà. Un delitto aggravato anche dall’aver approfittato della minor difesa, data l’età della vittima. Contro di lui, a dire dell’accusa, diversi elementi: non solo il Dna, ma anche le celle telefoniche, il furgone ripreso dalle telecamere, le fibre tessili e le sfere metalliche trovate sulla vittima. Una serie di elementi che portano i giudici di Bergamo a emettere l’1 luglio 2016 la sentenza di ergastolo e che torneranno al centro del processo d’appello che si apre a Brescia venerdì 30 giugno.
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DNA. La traccia biologica – rinominata 31G20 – trovata sugli slip e sui leggings della vittima attribuita a ‘Ignoto 1’ è il faro dell’indagine. Una prova significativa visto che è su un indumento intimo. Una traccia mista, impossibile stabilire se è sangue: la componente maggioritaria è della vittima, quella minoritaria porta a Bossetti. Un match che arriva dopo un’indagine faticosa: si risale al padre del presunto colpevole (Giuseppe Guerinoni di cui è necessario riesumare la salma), poi alla madre (Ester Arzuffi) che nega anche ora la relazione clandestina. Una consulenza della procura evidenzia un’anomalia: il Dna nucleare combacia con quello dell’indagato, non il suo Dna mitocondriale (indica la linea materna).
Per il pubblico ministero Letizia Ruggeri solo il Dna nucleare “su cui non c’è nessun dubbio ha valore forense”, l’assenza del mitocondriale è “un’anomalia che non inficia” il resto. I difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini parlano di un “mezzo Dna contaminato” la cui custodia e conservazione “sono il tallone d’Achille” di un processo “indiziario”. Provette di cui contestano i risultati e che, in ogni caso, “sarebbero un indizio non preciso di un contatto e non di un omicidio”. La difesa lamenta di non aver potuto visionare i reperti e di fronte a una traccia “non nitida” chiede l’assoluzione. “La collocazione del profilo genetico” di Bossetti sugli indumenti della 13enne, scrivono i giudici nelle motivazioni della condanna in primo grado, sono la “prova non solo che l’imputato e la vittima sono entrati in contatto ma che lui è l’autore dell’omicidio”.
FURGONE. Gli accertamenti sulle telecamere di Brembate di Sopra inquadrano il furgone di Bossetti in un orario “compatibile” con l’uscita di Yara dal centro sportivo, secondo l’accusa. Il furgone immortalato vicino al centro sportivo “non è dell’imputato” e l’allineamento degli orari delle telecamere svolto dai consulenti della difesa spostano in avanti la lancetta dell’orologio e rendono incompatibile la sua presenza nell’orario in cui si perdono le tracce della 13enne.
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CELLE TELEFONICHE. Il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è alle 17.45, poi il suo telefono non riceve traffico fino alle 7.34. L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, un segnale che certifica la presenza di Bossetti in zona. L’imputato aggancia la stessa cella della vittima “un’ora prima e in direzione diversa”, replica la difesa che sottolinea come il traffico telefonico del muratore sia identico anche quel giorno. Nelle motivazioni della condanna si legge: “Dai tabulati telefonici si ricava che la sera del fatto” Bossetti “non era altrove”, mentre da alcune intercettazioni successive emerge “che quella sera rientrò a casa più tardi del solito e che neppure nell’immediato disse alla moglie cosa avesse fatto e dove fosse stato”.
FIBRE TESSILI E SFERE METALLICHE. Sulla vittima sono state trovate fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti. Sono state trovate anche delle sferette metalliche che riconducono a chi lavora “nel mondo dell’edilizia”. Di visione opposta la tesi difensiva: la compatibilità in un processo penale non basta. “C’è stato un contatto con quei sedili o si è seduta su sedili come quelli?”, si chiedono gli avvocati che evidenziano come nel furgone sequestrato non ci siano tracce della vittima. Stesso ragionamento per la presenza delle sferette che “non danno nessuna certezza” sul colpevole. Per i giudici di Bergamo “l’attività professionale spiega l’inusuale concentrazione sul cadavere di particelle di calce e di sferette di metallo frutto di lavorazioni a caldo o localmente a caldo, di cui solo indumenti e mezzi di lavoratori del settore siderurgico e del settore edilizio possono essere contaminati”.
MOVENTE E ALIBI. Bossetti “Non sa spiegare perché il suo Dna si trova sugli indumenti della vittima” e alcune intercettazioni in carcere sulla descrizione del campo di Chignolo lo tradirebbero. L’uomo con “una tendenza sfrenata a dire bugie”, attratto dal genere femminile – testimoniato da ricerche pornografiche sul computer o nella corrispondenza con una detenuta – non ha un alibi. Non ci sono elementi per dire se conoscesse Yara, “ma l’assenza di un movente non è un elemento di deficit per le indagini”. Nulla per la difesa è certo: né l’orario, né il luogo della morte. Nessuna traccia di amanti, nessun tentativo di scappare. Le ricerche fatte con un pc familiare risalgono a dopo la morte della 13enne e non indicano nessuna perversione. Per i giudici di primo grado Bossetti è l’autore di “omicidio di inaudita gravità”, maturato in un contesto “di avance a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare nell’imputato una reazione di violenza e sadismo di cui non aveva mai dato prova ad allora”.

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