Home Nazionale Clochard arso vivo a Palermo, l’assassino confessa: “Ero geloso”

Clochard arso vivo a Palermo, l’assassino confessa: “Ero geloso”

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Palermo, 11 mar. (AdnKronos) –
Ha confessato il benzinaio Giuseppe Pecoraro, fermato per l’omicidio di Marcello Cimino, un clochard, prima cosparso di benzina e poi dato alle fiamme, vicino a via Cappuccini davanti alla mensa dei poveri, chiusa da tempo. L’uomo di 45 anni come la vittima, messo sotto torchio durante l’interrogatorio è crollato e ha ammesso le sue colpe. Dietro l’omicidio c’è la gelosia, che l’assassino provava per il senzatetto, che aveva allacciato una relazione sentimentale con la sua compagna. Adesso si trova in stato di fermo per omicidio volontario. “Pecoraro temeva che Cimino gli insidiasse la compagna – racconta il dirigente della Squadra mobile Rodolfo Ruperti – siamo riusciti faticosamente a individuarlo grazie ai nostri investigatori, grazie a dei riscontri esterni”. “Pecoraro ha confessato raccontando la sua versione dei fatti – dice ancora Ruperti – C’era stato un alterco tra loro non molto lontano dal luogo del delitto”. L’assassino è stato trovato per strada. “Aveva provato ad occultare alcune piccole ustioni che aveva riportato nel dare fuoco alla vittima – aggiunge Ruperti – si era pure fatto la barba”.
Un omicidio organizzato fin nei minimi dettagli, con la benzina sistemata in un secchio rubato a un fruttivendolo. Parlando con gli inquirenti il benzinaio, che lavorava solo saltuariamente, ha inizialmente tentato di fornirsi un alibi finto, ma davanti alle evidenze, primo tra tutti il video che ha ripreso l’omicidio, ha ammesso le sue responsabilità. Non si è mostrato pentito dell’omicidio “ma ha spiegato i motivi che lo hanno portato a uccidere la vittima”.
Pecoraro era convinto che Cimino avesse una relazione con la sua compagna. “Per le attività investigative ci siamo avvalsi delle telecamere dei cappuccini – dice il dirigente della Mobile Rodolfo Ruperti – l’origine dell’omicidio era per futili motivi, la gelosia per la donna che corteggiava”.

Poco prima dell’una di notte, qualcuno ha sentito le grida del senzatetto che era completamente avvolto dalle fiamme. L’inchiesta per la morte del clochard è coordinata dalla pubblico ministero di turno, Maria Forti.
La figlia: “Spero che l’assassino faccia la stessa fine”
Marcello Cimino, questo il nome del clochard, di solito dormiva proprio sotto il portico della missione San Francesco usato come rifugio.
“Chi l’ha fatto non è umano”, il dolore della sorella del clochard
L’OMICIDIO IN UN VIDEO ESCLUSIVO DI REPUBBLICA TV – Sequenze agghiaccianti, riprese da una videocamera di sorveglianza, raccontano la morte dell’uomo bruciato vivo e per il quale non c’è stato nulla da fare. Esiste infatti un video che riprende, minuto per minuto, gli ultimi istanti di vita di Marcello Cimino: come mostrano le immagini in esclusiva di Repubblica Tv, infatti, un uomo con il volto semicoperto, poco dopo la mezzanotte, si avvicina al giaciglio di Cimino con un secchio bianco pieno di benzina per poi versala sull’uomo che sta dormendo, dargli fuoco e poi scappare.

LA MOGLIE: “ORA DUE RAGAZZE SENZA UN PADRE” – “Solo un mostro può bruciare viva una persona. Spero che lo prendano al più presto. Questo mostro ha lasciato due ragazzine senza un padre”. E’ lo sfogo di Iolanda, la moglie di Marcello Cimino. La donna è arrivata con le sue due figlie sul luogo dell’omicidio. Racconta che la vittima “aveva una casa in cui vivere, un alloggio popolare al villaggio Santa Rosalia, ma da tempo aveva deciso di vivere qui dai Cappuccini, dove si trovava bene” (Leggi l’articolo completo)
“AVEVA SCELTO DI DORMIRE PER STRADA” – Lo conoscevo di vista, ma mi aveva colpito per la sua gentilezza. Era una persona cortese, disponibile, sempre pronta ad aiutare i volontari e a dare una mano quando occorreva. Non ho mai visto in lui segni di atteggiamenti violenti”. A raccontare di Marcello Cimino all’AdnKronos è Mimmo Scafidi, responsabile della Missione San Francesco dei frati minori Cappuccini di Palermo.
“Stamattina si è presentata la sorella e quando le abbiamo chiesto perché non l’aveva accolto a casa – dice ancora Scafidi – ci ha detto che era stata una sua scelta vivere da barbone. A quanto pare aveva anche una casa nella zona del Villaggio Santa Rosalia”. Da poco tempo si era separato dalla moglie, da cui aveva avuto dei figli. Insieme a lui, nel giaciglio improvvisato sotto i portici vivevano altre tre persone. “Per puro caso non si trovavano con lui ieri sera – spiega -, sono dei miracolati perché le vittime di questa barbarie potevano essere di più”.
“Ogni giorno almeno 10 persone lavorano dalle 8.30 alle 16.30, perché occorre lasciare tutto in ordine e pulito per l’indomani” dice ancora Scafidi. Ma la missione non offre solo il servizio mensa. E’ possibile, infatti, fare una doccia o ricevere visite specialistiche e assistenza legale.
“Abbiamo un’infermeria dove medici specializzati offrono gratuitamente consulenze e poi c’è l’assistenza legale” spiega ancora il responsabile. Il tutto per “rendere la loro vita quanto più possibile normale”. Gli utenti? “I più disparati: anziani, prostitute, tossicodipendenti. Di tutti abbiamo i documenti e l’Isee” assicura Scafidi, che ammette: “Siamo la Beirut di Palermo”.
IL SINDACO – “Come tutti siamo turbati da tanta brutale violenza e ci auguriamo che i colpevoli siano presto assicurati alla giustizia e giudicati per un gesto di pura barbarie”. Lo dice il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che stamani ha sentito il questore Renato Cortese, a proposito del clochard.
ESPERTI, VITA COME UN VIDEOGIOCO – Come in un videogioco si ‘brucia’ la povertà vista con ribrezzo. “Non si tratta nemmeno di un’imitazione dei drughi di Stanley Kubrick, ma dell’esaltazione nichilista di un ribrezzo verso la povertà, vissuta come reietta, amorfa, fastidiosa: qualcosa da bruciare”. Lo affermano Donatella Marazziti, docente di psichiatria a Pisa, e il sociologo della salute Mario Campanella, della Fondazione scientifica sulle ricerche in Neuroscienze Brf. “La vita è un videogioco per queste persone – continuano Marazziti e Campanella – e nei videogiochi si ‘uccide’ il diverso, che poi rinasce. Non esiste il significato antropologico della morte come totem – affermano gli esperti della Fondazione Brf – ma tutto diventa tragicamente virtuale”.