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Lavoro: Cazzola, sentenza su licenziamento per profitto non fa grinza

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Roma, 15 gen. (Adnkronos/Labitalia) – La sentenza della Corte di Cassazione (n. 25201 del 7 dicembre scorso) che ha definito legittimo il licenziamento di un lavoratore, motivato con l’intento di realizzare ‘una organizzazione più conveniente per un incremento del profitto’, “non fa una grinza e non ha nulla da spartire con le modifiche introdotte nella disciplina del recesso dal rapporto di lavoro sia dalla riforma Fornero del mercato del lavoro, sia dal dlgs n.23/2015 che ha introdotto il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Così Giuliano Cazzola, docente di Diritto del lavoro UniECampus e membro del Comitato scientifico Adapt.
“Il profitto in Italia -commenta Cazzola- è lo ‘sterco del diavolo’. La possibilità di licenziare, come prevede la legge, per ‘ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa’, può valere soltanto – sostengano infuriate le ‘anime belle’- se l’azienda è in crisi. Ma il profitto non è il fine di quell’attività economica organizzata che si chiama impresa?”, chiede Cazzola.
“Se andiamo un po’ più indietro nel tempo -ricorda Cazzola- è scoppiato lo scandalo dell’incremento dei licenziamenti disciplinari, di cui si sono subito incolpati il Jobs Act e la nuova disciplina del recesso. La vera spiegazione è un’altra. I licenziamenti per giustificato motivo e per giusta causa sono aumentati per colpa di una norma cretina sulle cosiddette dimissioni in bianco”.