Home Nazionale Medicina: nati in un corpo ‘sbagliato’, 5.000 in Italia con disforia di genere

Medicina: nati in un corpo ‘sbagliato’, 5.000 in Italia con disforia di genere

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Roma, 9 ott. (AdnKronos Salute) – Nati in un corpo che non sentono conforme al genere in cui si riconoscono: uomini che si sentono donne e donne che si identificano nel genere maschile. Si stima siano circa 5.000 gli italiani con disforia di genere (Dig), uno stato di disallineamento forte e persistente fra l’identità di genere, ossia la percezione che un individuo ha del proprio sé in quanto uomo o donna, e il sesso assegnato alla nascita secondo i dati biologici e cromosomici per cui convenzionalmente gli individui sono contrassegnati come maschi o come femmine. Il rapporto è di 3 a 1, con una prevalenza di 1 su 10-12.000 maschi e di 1 su 30.000 femmine.
“La disforia di genere – afferma Piernicola Garofalo, presidente Ame Onlus, presentando il convegno ‘Trans-Ame: Trattiamo il genere’, promosso dall’Associazione medici endocrinologi con il patrocinio del Comune di Milano il 12 ottobre nel capoluogo lombardo – è difficilmente compresa perché viene spesso confusa con il travestitismo e legata a contesti quali prostituzione o tossicodipendenza, con cui nulla ha in comune. Il desiderio di cambio di genere non è dettato da una preferenza sessuale, ma è una questione di identità e risponde alla domanda: chi sono?”.
I problemi nell’identità di genere appaiono generalmente già nei primi 5 anni di vita – spiegano gli esperti – cogliendo i genitori del tutto impreparati anche solo a considerare e accettare qualcosa che faticano a comprendere. Il piccolo, o la piccola, si troverà solo a combattere contro le aggressioni dei compagni di giochi e, subito dopo, contro il bullismo a scuola.
“Dopo il compimento della maggiore età la persona con disforia di genere potrà, se avrà maturato questa decisione, avviare il processo di transizione che può essere molto lungo”, sottolinea l’avvocato Gianmarco Negri. Un processo che prevede “innanzitutto uno o più colloqui con uno psichiatra che deve certificare che la persona rientra nei parametri della disforia di genere. A questo punto, ottenuto il nulla osta, interviene l’endocrinologo che prescriverà le terapie ormonali”.
“Si apre una fase – prosegue il legale – che i protocolli indicano come obbligatoria di ‘real life test’, della durata di 10-12 mesi circa, durante i quali la persona deve vivere con i vestiti del genere opposto, scegliere un nome con il quale essere appellata e sperimentare concretamente come si sente nellìidentità alla quale sente di appartenere. La persona trans dovrà quindi tornare dallo psichiatra e dall’endocrinologo per ottenere le relazioni relative al percorso fino a quel momento compiuto. Ma, per poter realizzare gli interventi (se desiderati e ora non più obbligatori) e ottenere la rettifica anagrafica, la persona trans, avvalendosi di un avvocato, dovrà sottoporre le proprie richieste a un giudice”.
“Può accadere – conclude Negri – che il magistrato non ritenga sufficienti le relazioni prodotte dalla parte e che disponga una Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio) con aggravio di costi e tempi per la persona che subisce, così, una palese ulteriore privazione della libertà di scelta e negazione del principio di autodeterminazione. In Italia non esiste una norma che obblighi il riconoscimento di una persona con l’identità percepita, nonostante esista una raccomandazione europea”.
Una volta completata la transizione, i problemi non finiscono: il cambio di codice fiscale e della carta d’identità hanno eliminato una persona e ne hanno creata un’altra, ma in questo modo si è perso tutto il bagaglio di informazioni. Soprattutto da un punto di vista medico, la transizione non cancella le malattie e la propria storia clinica. La modulistica medica di raccolta dell’anamnesi prevede solo i generi maschio e femmina, ma una persona trans non può essere incasellata in queste categorie. L’introduzione di nuove categorie, FtM per una persona che da donna ha assunto l’identità maschile e MtF per il contrario, sarebbero necessarie – secondo gli organizzatori del corso – per evitare lunghe spiegazioni per ottenere interventi appropriati.
“Il processo di transizione è spesso un momento atteso da anni e carico di grandi aspettative – evidenzia Stefania Bonadonna, endocrinologo e coordinatore del gruppo di lavoro Ame sulla disforia di genere – che porta a volere tutto subito e a sottovalutare le implicazioni mediche che il passaggio comporta. Il medico opera con la principale indicazione di non nuocere, ma gli interventi che consentono la transizione sono ‘innaturali’ e l’organismo non risponde a comando. Qualunque cura o intervento chirurgico ha possibili effetti collaterali, tanto più se è mirato a una trasformazione che il corpo umano non prevede, e hanno la necessità di tempi che spesso i pazienti non comprendono. La terapia medica è complessa e deve essere personalizzata e questo la rende abbastanza disomogenea. Anche gli studi clinici, sia per il numero esiguo di pazienti che per la mancanza di fondi, sono spesso insoddisfacenti e va ricordato che la genetica non si cambia con il codice fiscale.
L’Associazione medici endocrinologi ha creato un gruppo di lavoro dedicato alla disforia di genere con l’obiettivo di favorire la formazione degli operatori, promuovendo incontri per supportare e orientare le persone con Dig. Il gruppo ha anche la finalità di creare una rete endocrinologica esperta sul territorio nazionale, con almeno un centro per regione, che possa dare risposte sulla base delle esperienze più avanzate sul nostro territorio, predisporre linee guida condivise, raccomandazioni sui trattamenti e poter essere un punto di riferimento per le persone che hanno difficoltà a trovare centri e strutture in grado di proporre interventi appropriate.