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Sanità: 3 detenuti su 4 convivono con un disturbo mentale

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Roma, 12 dic. (AdnKronos Salute) – Il reinserimento nella società è spesso un miraggio, i farmaci sono obsoleti e gli spazi a disposizione inadeguati. Gli esperti lanciano l’allarme sulla gestione dei disturbi mentali negli istituti penitenziari italiani: oggi oltre 3 detenuti su 4 convivono con una malattia mentale, disturbi psicotici, della personalità e depressione. Se ne è parlato durante la tappa romana di ‘Progetto Insieme – Carcere e salute mentale’, che si è svolta oggi nel carcere di Rebibbia con il patrocinio del ministero della Salute.
Il progetto, promosso dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, dalla Società italiana di psichiatria e dalla Società italiana di psichiatria delle dipendenze con il supporto incondizionato di Otsuka e Lundbeck, ha coinvolto diverse figure che operano dentro le carceri per sviluppare un nuovo Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per la gestione e il trattamento dei detenuti che soffrono di malattie mentali. Valutazione della salute mentale e monitoraggio fin dall’ingresso in carcere, utilizzo dei trattamenti di ultima generazione, gruppi di sostegno tra i detenuti e attività educative-culturali, oltre che un impegno per garantire la continuità assistenziale dopo la scarcerazione: sono le principali novità introdotte dal gruppo di lavoro di ‘Progetto insieme – Carcere e salute mentale’ nel nuovo Pdta.
“‘Progetto Insieme’ è un’iniziativa ambiziosa – commenta Giuseppe Quintavalle, direttore generale Asl Roma 4 – che ha il merito di aver accolto esperti provenienti da diversi ambiti intorno a un tavolo per trattare un problema di grande attualità come quello della gestione dei disturbi mentali in carcere. Attraverso l’elaborazione e l’applicazione di un Pdta, il Progetto mira a uniformare le tempistiche e modalità di trattamento delle malattie psichiatriche nelle carceri del nostro Paese, secondo un modello omogeneo di intervento, nel rispetto delle diversità delle varie realtà carcerarie”.
Nel concreto, il Pdta “vuole fornire al personale sanitario e non solo gli strumenti per trattare i disturbi mentali e agli psichiatri e psicologi un modello razionale per poter intervenire in modo tempestivo in caso di bisogno”, continua. Dietro le sbarre la prevalenza dei disturbi mentali è nettamente più alta rispetto alla popolazione generale. Le stime indicano infatti come il 4% dei detenuti sia affetto da disturbi psicotici contro l’1% della popolazione generale; la depressione colpisce invece il 10% dei reclusi contro il 2-4%. A far paura sono anche le cifre dei disturbi della personalità, con cui convive il 65% dei reclusi, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%).
“In carcere le malattie mentali hanno un’alta prevalenza: si stima – spiega Andrea Fagiolini, direttore della Clinica psichiatrica e della Scuola di specializzazione in Psichiatria dell’università di Siena – che oltre il 75% dei detenuti conviva con un disturbo mentale, in particolare disturbi psicotici, della personalità e depressione. Questo perché se da un lato molti disturbi psichiatrici possono associarsi (non necessariamente con un rapporto di causalità diretto) con un’alta prevalenza di reati, dall’altro la carcerazione e l’ambiente carcerario possono essere fonte di stress che può portare in casi estremi anche al suicidio”.
“Di fronte a questo scenario – evidenzia – è importante aggiornare i protocolli di intervento e i relativi prontuari terapeutici delle carceri italiane, incorporando le strategie e trattamenti che oggi abbiamo a disposizione, inclusi i farmaci antipsicotici di nuova generazione, che offrono ottime modalità di somministrazione in un contesto difficile come quello del carcere, che garantiscono un’adeguata aderenza terapeutica e un ottimale rapporto tra efficacia e tollerabiltà. Questi trattamenti, grazie alla loro elevata efficacia e tollerabilità, consentono al paziente di poter partecipare alle attività riabilitative e di recupero necessarie per un futuro reinserimento nella società”.