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Bioshopper per l’ortofrutta, il punto ad un anno dalla legge

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Roma, 18 dic. – (AdnKronos) – Bioshopper per l’ortofrutta? La transizione è avvenuta con un costo che nella maggior parte dei casi si aggira tra 1 e 2 centesimi. Ad un anno dalla legge 123/2017, che ha definito nuove norme sulle borse di plastica leggere, l’Adnkronos fa il punto con Assobioplastiche, Altroconsumo e Coop.
Dal primo gennaio 2018, infatti, anche i sacchi leggeri e ultraleggeri (ossia con spessore della singola parete inferiore a 15 micron) utilizzati per il trasporto di merci e prodotti, a fini di igiene o come imballaggio primario in gastronomia, macelleria, pescheria, ortofrutta e panetteria, sono biodegradabili e compostabili secondo la norma Uni En 13432, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40% e sono distribuiti esclusivamente a pagamento.
La normativa, emanata anche per recepire una direttiva dell’Unione europea, non prevede un limite massimo di prezzo, ma lascia agli Stati la libertà di utilizzo di strumenti economici come la fissazione del prezzo. Da questo assunto, si è così arrivati ad ipotizzare possibili stangate per i consumatori che sarebbero arrivati a spendere fino a 90 euro all’anno per i sacchetti biodegradabili.
Ma, in realtà, Assobioplastiche non percepisce nessuna criticità: “dal nostro punto di vista la transizione è avvenuta e il prezzo che circola è di uno o due centesimi. Dal nostro osservatorio, dunque, non risulta che le catene dei supermercati abbiano speculato sugli ultraleggeri per frutta e verdura” afferma il presidente Marco Versari.
A confermare i dati dell’associazione delle bioplastiche, anche una verifica su Milano di Altroconsumo che ha riscontrato prezzi piuttosto allineati: si va dal prezzo di 1 centesimo a sacchetto applicato dai punti vendita Esselunga e Lidl ai 2 centesimi di Carrefour e Ipercoop. Quanto incidono, dunque, sulla spesa annua? A conti fatti poco, ipotizzando per eccesso anche 4 sacchetti al giorno (da 2 centesimi ognuno), in un anno la spesa sfiorerebbe i 15 euro.
Nonostante le polemiche, spiega Altroconsumo, in realtà anche i vecchi sacchetti di plastica utilizzati al supermercato si pagavano. Fino a dicembre 2017, però, il loro costo veniva sostenuto dai distributori che lo ricaricavano poi sul prezzo finale degli alimenti. La verità, perciò, sta nel fatto che il loro costo fosse occulto, a differenza di quello dei sacchetti biodegradabili che si è scelto di esplicitare.
Nell’intenzione della legge, dare un prezzo ai bio shopper significa disincentivarne l’abuso, riducendo così gli sprechi. I dati sui consumi però non evidenziano abitudini di acquisto più responsabili, registrando un aumento delle vendite dei prodotti freschi confezionati a discapito di un calo degli alimenti sfusi. Ma si tratta realmente di una conseguenza dell’obbligo dei sacchetti biodegradabili?
Sulla questione, spiega Claudio Mazzini, Responsabile Freschissimi in Coop Italia “non è semplice fornire dati numerici. Effettivamente si sta assistendo ad un riequilibrio progressivo tra la percentuale delle vendite dello sfuso (in passato molto più alta) e quella del confezionato. Tendenza generale questa che tuttavia non è attribuibile solo e in particolare alla nuova normativa sui sacchetti ma anche a scelte commerciali e di marketing tese a dare maggiore valore ai prodotti che lo meritano, di qualità superiore”.
Sul carrello della spesa, dunque, pesano le strategie di marketing mentre a creare problemi ai bioshopper per l’ortofrutta ci pensa sempre la filiera illegale. Se nella Gdo la transizione è avvenuta con successo, Versari di Assobioplastiche segnala criticità “nel settore del commercio al dettaglio e ambulanti dove c’è una vasta predominanza di prodotti non conformi in quanto i controlli ancora non sono bene in luce”.
Diverso è per i bio shopper per il trasporto della merce, introdotti con la legge 28/2012, che nel 2017, per la prima volta battano la filiera illegale dei sacchetti in plastica tradizionale (49.500 tonnellate vs 42.500 tonnellate). Sugli shopper da asporto, commenta Versari, “abbiamo accumulato anni di esperienza che mancano nell’ortofrutta dove ci sono ancora dei troppi chiaroscuri”.