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Contratti: Treu (Cnel), +58% ccnl in ultimi anni, eccessiva frammentazione

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Roma, 6 dic. (Labitalia) – “Il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro si è accresciuto negli ultimi anni del 58%, e segnala ancora un eccesso di frammentazione fra le sigle stipulanti, sia da parte sindacale sia da parte datoriale” e, sebbene “la pluralità delle sigle dei contratti collettivi rientri sicuramente nel principio costituzionale di libertà sindacale”, “la proliferazione contrattuale assume aspetti preoccupanti quando genera fenomeni di dumping contrattuale che organizzazioni poco rappresentative sostengono allo scopo di ottenere trattamenti al ribasso rispetto a quelli concordati fra le organizzazioni più rappresentative”. Ad affermarlo Tiziano Treu, presidente del Cnel, nella relazione introduttiva del ‘Rapporto sul mercato del lavoro e sulla contrattazione collettiva 2018’ del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presentato stamattina, a Roma, nella sede di Villa Lubin.
“Questa contrattazione al ribasso – avverte – influisce negativamente non solo sui trattamenti e sulle condizioni attuali dei lavoratori contribuendo al fenomeno dei lavoratori poveri, ma influisce anche sulle loro prospettive pensionistiche, perché viola la normativa secondo cui la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore ai minimi retributivi stabiliti dai contratti collettivi stipulati fra le organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative delle parti”.
“Per rimediare a questa situazione, è cresciuta fra tutte le parti sociali – sottolinea – la convinzione che sia ormai indispensabile definire criteri certi e operativi di misurazione della rappresentatività di entrambe le parti sindacali e datori di lavoro. Il Cnel si sta adoperando in un dialogo serrato con tutte le organizzazioni sindacali e datoriali presenti al suo interno, facendo tesoro delle regole via via concordate nei vari accordi interconfederali di questi ultimi anni presentati da Faioli nello stesso rapporto”.
“L’obiettivo – prosegue – è di favorire la ricerca di criteri certi di rappresentatività e anche la definizione concordata fra le parti dei confini fra diversi ambiti di contrattazione per dirimere le eventuali controversie di confine. Ci impegniamo in questa direzione perché siamo convinti che una condivisione ampia fra gli interessati è necessaria per evitare un intervento legislativo improvvisato e in ogni caso è utile per fornire gli elementi affinché tale intervento non sia invasivo ma rispettoso dell’autonomia collettiva”.
Il Cnel gestisce, fra le sue funzioni, l’archivio dei contratti collettivi ed è impegnato a permetterne la piena accessibilità in via informatica e a mantenerlo aggiornato nel tempo. Come rileva il rapporto dell’ufficio del Cnel, il più notevole valore aggiunto fornito dalla trasposizione dell’archivio in formato elaborabile sta nella possibilità di collegamento fra la banca dati del Cnel e le banche dati gestite da altri soggetti istituzionali che afferiscono alle relazioni industriali, nel far parlare fra loro i rispettivi archivi consentendo alle diverse istituzioni di coordinarne l’aggiornamento e di scambiarsi le informazioni per le rispettive funzioni istituzionali.
Inoltre, con la revisione e l’armonizzazione dei criteri di classificazione si risponde all’esigenza di pervenire alla definizione di un sistema di archiviazione e di classificazione per settori contrattuali chiaro e univoco, una anagrafe comune.
Nel Rapporto, si analizza anche la contrattazione decentrata e gli aspetti relativi al salario di risultato e al welfare aziendale. I dati presentati confermano la vitalità e il carattere innovativo di questo livello contrattuale, stimolato anche degli incentivi fiscali e contributivi introdotti nelle ultime due leggi finanziarie.
Nel periodo fra maggio 2016 a giugno 2018, sono circa 15.639 le imprese che hanno fatto domanda per avere la detassazione del premio di risultato; l’88% in base a un accordo aziendale per un totale di 33.869 istanze e per 5 milioni circa di beneficiari. Ma la distribuzione di queste misure è diseguale: sono maggiori le istanze provenienti da imprese del Nord, in particolare medio-grandi, ma è significativa anche la presenza di imprese sotto i 100 dipendenti. Il valore complessivo del premio detassato annuo è superiore ai 3 miliardi, corrispondenti a 1.291 euro per ogni beneficiario.
Gli accordi sul welfare di dicembre 2017 sono 5.236 per un totale di 2.491.374 lavoratori beneficiari e un valore annuo medio stimato pro capite di 1435 euro. Le misure di welfare si sono molto diversificate e vanno dalla previdenza e assistenza complementare fino alle varie forme di sostegno al reddito e alle misure di educazione dei figli, fino alla conciliazione fra vita e lavoro. Agli accordi sul welfare si aggiungono 400 accordi di partecipazione agli utili per un totale di beneficiari di 1.057.403, e un valore medio di 1.348 euro, e inoltre 2.039 piani di partecipazione paritetici per un totale di beneficiari di 1.731.073 con valore medio pro capite annuo di 1.674 euro.