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Figlia Rostagno: da dieci mesi aspetto motivazioni sentenza

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Palermo, 7 dic. (AdnKronos) – Sono trascorsi dieci mesi dalla sentenza d’appello del processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, il sociologo ucciso da Cosa nostra nel 1988, ma, nonostante il termine scadesse lo scorso 20 agosto, non c’è ancora traccia delle motivazioni, che hanno spinto la Corte d’assise d’appello di Palermo a confermare la pena all’ergastolo per il boss trapanese Vincenzo Virga e ad assolvere l’altro imputato, Vito Mazzara. La denuncia è di Maddalena Rostagno, figlia del sociologo. “Caro Babbo Natale, sperando di ricevere molti libri in regalo, potresti anche porgermi le motivazioni della sentenza di secondo grado, decisa il 19 febbraio scorso, e il 20 agosto scadeva il termine per depositarle?”, dice con amara ironia la figlia di Mauro Rostagno, che ha seguito tutte le udienze, sia di primo che di secondo grado.
Come apprende l’Adnkronos, la Corte d’assise d’appello dovrebbe depositare la sentenza “entro la fine dell’anno”. Il ritardo sarebbe dovuto alla “particolare complessità del processo”. Solo le motivazioni di appello erano lunghe 800 pagine. Secondo quanto deciso dalla sentenza, emessa lo scorso 19 febbraio, è stata la mafia ad uccidere Mauro Rostagno il 26 settembre 1988. La Corte di Assise di Appello di Palermo ha confermato, come detto, la condanna all’ergastolo per il boss di Cosa nostra trapanese, Vincenzo Virga. Il collegio, presieduto da Matteo Frasca – che è anche Presidente della Corte d’appello di Palermo – e giudice a latere Roberto Murgia, estensore della sentenza, ha invece assolto, per non aver commesso il fatto, Vito Mazzara, accusato di essere stato il killer del sociologo e giornalista. Per il collegio fu, insomma, un delitto di mafia, ma restano ancora molti punti oscuri, che tanti anni di indagini non hanno ancora chiarito. Vincenzo Sinacori, fino agli anni 90 capo della famiglia di Mazara del Vallo, ha detto: “Rostagno è morto per le sue trasmissioni televisive, non perdeva occasione di attaccare Cosa nostra”.
La sentenza di primo grado, dunque, è stata riformata solo in parte con i giudici della Corte d’Assise d’Appello che, evidentemente, non avevano ritenuto sufficienti per una condanna le analisi delle impronte genetiche trovate sui resti del fucile a canne mozze rinvenuti per terra sul luogo del delitto (la canna di legno si ruppe al momento dell’esplosione dei primi colpi), effettuati dai periti della Corte d’Assise di Trapani Paola De Simone, Elena Carra e Silvano Presciuttini. Su questo punto la difesa di Mazzara aveva tentato di far riaprire l’istruttoria dibattimentale e di produrre una nuova perizia sul dna, richiesta che però non è stata accolta dai giudici d’Appello.