Home Attualità Lavoro: 80% dipendenti pronto a fare coming out, ma solo 1 su 2 lo ha già fatto

Lavoro: 80% dipendenti pronto a fare coming out, ma solo 1 su 2 lo ha già fatto

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Roma, 11 ott. (Labitalia) – L’80% dei lavoratori dichiara di essere pronto a rivelare il proprio orientamento sessuale al lavoro, se l’opportunità si presenta. Ma solo la metà dei dipendenti Lgbt+ lo ha già fatto. Un dato influenzato dal fatto che più di un terzo dei professionisti Lgbt+ (35%) crede che fare coming out sul lavoro potrebbe mettere a rischio la carriera. Questi dati emergono dalla nuova indagine di The Boston Consulting Group, che ha coinvolto oltre 4.000 partecipanti (<35 anni) di 60 nazionalità in dodici paesi (tra cui Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Messico, Stati Uniti e Brasile).
Tra le evidenze del report emerge, inoltre, come le donne facciano coming out meno degli uomini (il 14% contro il 20%), così come i bisessuali rispetto agli omosessuali (il 25% contro il 28%). L’ambizione professionale prende, dunque, la priorità rispetto alla condivisione dell'orientamento sessuale e questo sentimento è più evidente in situazioni particolari. Il 46% dei dipendenti Lgbt+ intervistati ha, infatti, ha dichiarato di mentire direttamente o per omissione ai propri dirigenti sul tema dell’orientamento sessuale durante conversazioni informali. Allo stesso modo, il 13% ha dichiarato di dare priorità alla propria ambizione professionale, accettando anche di lavorare (con riluttanza) su progetti in paesi in cui l'omosessualità è criminalizzata.
In termini di integrazione professionale dei talenti Lgbt+ emergono importanti differenze a livello di paese. In testa alla classifica si trovano Regno Unito e Olanda, dove circa il 90% dei dipendenti Lgbt+ si dice a proprio agio nell’ambiente professionale. Spagna e Italia, invece, sono in fondo, e oltre il 30% del totale dei partecipanti al sondaggio non si sente a proprio agio a lavorare in questi paesi. In Francia, Germania, Stati Uniti, Messico e Brasile c'è ancora spazio di miglioramento: solo il 75% degli intervistati Lgbt+ ha dichiarato di sentirsi a proprio agio.
Lato azienda, le grandi imprese hanno ancora del lavoro da fare: tra gli intervistati Lgbt+ il 58% vorrebbe lavorare in tali organizzazioni, 11 punti percentuali in meno rispetto alla percentuale dichiarata dai non-Lgbt+. Anche le startup fanno fatica, rivelandosi interessanti solo per il 19% degli intervistati Lgbt+, rispetto al 26% di quelli non-Lgbt+. I datori di lavoro del settore pubblico e non profit sono invece relativamente più attraenti: da 6 a 10 punti percentuali in più tra i candidati Lgbt+ rispetto a quelli non-Lgbt+.
Per attirare giovani talenti Lgbt+ non basta pensare al recruiting. Per questi candidati, infatti, la cultura inclusiva (cioè Lgbt+ friendly) è tra i tre criteri principali (addirittura il primo in Germania e Nord America) per accettare un’offerta di lavoro, più importante – in media – del prestigio del datore di lavoro. Le aziende, dunque, devono intraprendere azioni concrete per attrarre e mantenere i talenti Lgbt+.
Indipendentemente dal paese, gli intervistati Lgbt+ cercano una cultura non discriminante e la garanzia di non dover lavorare in un paese contrario alla comunità Lgbt+. Per attrarre questi talenti, i datori di lavoro dovrebbero sviluppare reti di supporto Lgbt+, sensibilizzare tutta la forza lavoro su queste tematiche e garantire ai colleghi Lgbt+ l’accesso agli stessi benefit (ad esempio, l'assicurazione sanitaria per i partner dello stesso sesso in paesi dove non è un obbligo legale).
In Italia, l’ambiente di lavoro ha un livello di maturità, riguardo all’inclusione Lgbt+, più basso rispetto agli altri paesi intervistati: il 33% degli intervistati Lgbt+ non si sente a proprio agio al lavoro e non si sente pronto a fare coming out. Ben lontano dalle percentuali dell’Olanda (7%), dell’Inghilterra (11%), ma anche di quella cumulativa di Germania, Svizzera e Austria (16%) e della Francia (24%). Solo la Spagna registra una percentuale più alta, del 38%.
Inoltre, addirittura il 40% degli intervistati Lgbt+ ritiene che fare coming out potrebbe comportare un rischio a livello professionale, una percentuale più alta della media totale rilevata dall’indagine (35%). Un quarto dei partecipanti italiani alla survey si dichiara riluttante ad accettare di lavorare in un paese ostile all’Lgbt+, tra le percentuali più alte dei paesi intervistati (la media rilevata è 13%), e il 51% mentirebbe sul proprio orientamento sessuale in una conversazione informale con il manager sul posto di lavoro (contro 46% in media).
Per quanto riguarda le priorità per gli intervistati Lgbt+ nella scelta di un posto di lavoro, in Italia resistono al primo e al secondo posto categorie più tradizionali come lo stipendio e la reputazione delle aziende, mentre la cultura inclusiva dell’azienda rispetto alla comunità Lgbt+ si posiziona sul podio al terzo posto. Ma cosa rende un’azienda interessante (Lgbt+ friendly) per la comunità Lgbt+? Per gli intervistati italiani, le caratteristiche principali sono, in linea con le preferenze europee, una cultura non discriminante e la garanzia di non dover lavorare in un paese contrario alla comunità Lgbt+. Al terzo posto, in ordine di importanza, si trova la promozione di benefit inclusivi, mentre sono giudicati meno importanti i programmi di mentorship e la partecipazione al Pride.