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Bitter Sweet Symphony dei Verve

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Bitter Sweet Symphony dei Verve

Bitter sweet symphony è senza dubbio la canzone più conosciuta dei Verve, il gruppo musicale di Wigan formato e fondato nel 1990 da Richard Ashcroft, Nick McCabe, Simon Jones e Peter Salisbury.
Il singolo è stato pubblicato nel 1997 all’interno di Urban hymns, quando della band faceva ancora parte Simon Tong.

Famoso quanto la canzone è il video che vede Ashcroft camminare su un marciapiede mentre canta in play-back la canzone, incurante delle persone che incontra.

Un passo arrogante che travolge tutto e tutti.

Fa cadere una ragazza, più di una persona lo scansa, alcuni vengono urtati, essi stessi non curanti di Ashcroft che sale anche sul cofano di una macchina in sosta e si ferma soltanto davanti a un’altra auto che sta attraversando un incrocio.

È difficile stabilire quanto di genuino ci sia in questo video e se effettivamente tutto sia stato girato in presa diretta.

La protesta ad esempio della ragazza dell’auto sulla quale Ashcroft sale direttamente davanti alla telecamera lascia pensare che non proprio tutta la passeggiata sia casuale.

La strada sulla quale si sviluppa il video è Hoxton St., fra Hoxton e Shoreditch, appena a nord est della City.
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Ashcroft la percorre sul lato destro verso nord venendo da Falkirk St.

Il frontman dei Verve arriva fino agli Hoxton Gardens, attraversa l’incrocio con Purcell St. e torna indietro sull’altro lato della strada fino a Crondall St., all’intersezione della quale ad Ashcroft si aggiungono gli altri quattro componenti del gruppo.

Poco prima dell’incrocio con Crondall St., i cinque si riuniscono e proseguono per Hoxton St, questa volta in direzione sud.

Ascoltiamo adesso il brano nella versione originale da quasi 450 milioni di visualizzazioni:

https://www.youtube.com/watch?v=1lyu1KKwC74

Bitter sweet Symphony esce il 16 giugno 1997 e non tarda a raggiungere il podio della UK Singles Chart.

Un giorno da segnare con il pennarello per Richard Ashcroft.

In tutti i sensi!

Nessuno avrebbe mai pensato che ben presto la sua vita e quella dei The Verve sarebbe cambiata per sempre.

In maniera del tutto inaspettata.
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Durante la realizzazione di Bitter sweet Symphony la band scopre una registrazione di The Last Time dei Rolling Stones completamente diversa dall’originale, interpretata dalla The Andrew Oldham Orchestra nell’album The Rolling Stones Songbook.

The Verve se ne innamorarono a tal punto da chiedere alla Decca l’acquisizione di un campione di cinque note della sezione d’archi che apre questa versione orchestrale.

L’etichetta gliela concede senza grossi problemi, dato che in fin dei conti The Verve sono uno dei tanti prodotti di quel Brit-pop inglese dei primi anni ’90, con alle spalle due trascurabili album e nulla più, una band di semisconosciuti insomma.

Entrando in studio, Ashcroft and Co. decidono di prendere qualcosina di più delle cinque note pattuite – che li avrebbero messi a riparo da qualunque controversia –  il risultato è Bitter sweet Symphony come la conosciamo oggi.

La perfetta alchimia della sezione archi con uno stile tipicamente pop ed un testo originale ruggente permette a The Verve di scalare le classifiche, trasformando il loro Urban Hymns in un disco fondamentale per il pop inglese.

L’eco del successo raggiunge anche gli studi della Decca e della ABKCO di proprietà di Allen Klein, che sobbalza dalla sedia all’ascolto di quella che un tempo era The Last Time di Oldham.

Di lì a qualche settimana i Verve sono citati in giudizio per violazione dei diritti d’autore: il plagio sembra davvero palese!

La band cadendo dalle nuvole, si giustifica dicendo che tutt’al più la violazione è sulla versione della The Andrew Oldham Orchestra, e non sulla versione originale degli Stones.

Niente da fare!

La sentenza è sfavorevole, attribuendo la paternità della canzone a Jagger e Richards e costringendo The Verve a versare i proventi delle vendite direttamente agli Stones.

Se un primo accordo prevede il 50%, la magnanimità degli Stones si esaurisce una volta presa coscienza del successo di Bitter sweet Symphony; tutte le royalties vanno direttamente nelle tasche di Jagger e Richards.

In un’intervista del 2016 per Noisey, a proposito del brano Richard Ashcroft ha dichiarato che riascoltando il primo verso della canzone “sei schiavo de soldi e poi muori” mai avrebbe detto che sarebbe diventata una canzone di successo.
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Bitter Sweet Symphony è un vero e proprio inno generazionale, una delle canzoni simbolo degli anni ‘90.

Un crescendo continuo di strumenti, suoni e pathos, caratterizzata dal quel celebre campionamento del riff dei Rolling Stones.

Una canzone perfetta per gli inizi di giornata sbagliati.

Al pubblico presente a Glastonbury nel 2008 Richard Ashcroft introduce la canzone gridando: “la vita è una lotta, ogni lunedì mattina è una lotta”.

Gli archi non mollano un secondo, la bellezza della melodia insiste continuamente fino a sovrastare la voce.

E più grida lui, più forte suonano loro.

Come in un duello.

Ho bisogno di sentire qualcuno che percepisce il mio dolore, ho bisogno di essere compatito, cioè guardato per come sono veramente.

Solitudine non è essere da soli, ma non sentirsi amati.

E ti ama chi è al tuo fianco anche e soprattutto quando stai soffrendo, chi è presente quando hai bisogno di essere ascoltato.

I can change.

Ashcroft lo ripete continuamente, proprio come la sinfonia.

Perché è ciò che il cuore gli chiede e che lui ripete a sé stesso.

Cambiare.
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Però chi è cresciuto imitando il passo strafottente di quel giovane allampanato che camminava lungo le strade di Londra cantando la sua Bitter Sweet Symphony si prepari.

Sono passati piu’ di vent’anni da quell’inno generazionale confuso, nichilista e romantico dove Ashcroft cantava la frustrazione di fronte a una società che ti vorrebbe “schiavo dei soldi, in attesa di morire”.

Da allora non ha cambiato attitudine.

Cupo, ironico, irascibile Ashcroft non si è fatto mancare qualche problema con la giustizia e questioni più serie legate alla depressione di cui soffre.

Continua però a dare la sua personale lettura di questi tempi turbolenti.

Con immutata energia.

RUBRICA A CURA DI ROBERTO FIORINI