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Arte, teatro e video art. Di nuovo chiusi. Di nuovo capaci di ipnotizzarci 

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Arte, teatro e video art. Di nuovo chiusi. Di nuovo capaci di ipnotizzarci 

Vorrei cominciare questo articolo facendo riferimento ad un fatto accaduto molti secoli fa ma che forse potrebbe essere ancora di grande ispirazione. Il fatto in questione riguarda un antico poeta e grande filosofo musulmano conosciuto col nome Rumi il quale nel XIII secolo, a chi gli chiedeva come facesse ad avere un’intelligenza così acuta, suggeriva di accrescere le necessità in modo da veder accrescere la percezione.

Come a dire che più si potenziano le occasioni e le opportunità, più aumentiamo la percentuale di cose di cui ci accorgiamo, metabolizziamo e facciamo nostre.

Col teatro è così: ogni volta è un’urgenza dello spirito. Peraltro sono note le interpretazioni che storici e antropologi fanno del teatro come luogo dove si realizzavano riti collettivi dedicati a Dioniso, nei quali si sperimentava e regolarizzava la trance. Se assumiamo questa come tesi generale, allora dobbiamo poter leggere tutta la storia delle arti (figurative e non) come un tentativo, di evocare fenomeni ignoti, quasi magici capaci di suscitare altre consapevolezze.

Nel mondo contemporaneo, segnato dal dominio della tecnica, l’arte è costretta a misurarsi con la tecnologia. Alcuni dicono che questi tentativi di fronteggiare l’innovazione, inseguendo le mode sia solo una ricerca del nuovo del tutto illusoria.

Altri pensano che sia proprio questo continuo misurarsi con le novità tecnologiche ad allontanare l’arte dal pubblico. Altri invece esultano e brindano alla speranza di inaugurare una nuova apertura mentale, sperando di dare all’arte un nuovo “senso”.

È così che i fenomeni complessi come ad esempio, quello della trance e della sensazione del trasporto collettivo verso dimensioni spaziotemporali diverse da quelle reali, sembrano essere dimenticati e in alcuni casi sostituiti dalle tecnologie della comunicazione istantanea.

La rete diventa il luogo della coscienza planetaria. Lo sanno tutti gli artisti che provano a fare di necessità virtù e ora che sono di nuovo chiusi i teatri s’impegnano e provano a capire se dalle nuove tecnologie si possano attingere nuove possibilità percettive in grado di alterare, accrescendole, quelle capacità sensoriali che permettono all’osservatore di non essere più, appunto, solo un osservatore, ossia di non attivare unicamente lo sguardo, ma di sprofondare nell’opera, di starci dentro.

Il dispositivo elettronico ha la proprietà di far riscoprire percettivamente immagini e suoni. Con l’arte figurativa ad esempio, la sezione di Google Arts & culture è in grado di modellare plasticamente lo spazio dell’opera, di associare sensazioni tattili e suoni.

In ogni mostra organizzata lì, l’osservatore ha modo di immergersi, entrando in uno stato alterato, sensorialmente amplificato, in cui il sentire si associa a un’elaborazione interna.

È possibile perfino approdare a uno spazio di concentrazione mentale nuovo, mai sperimentato in passato. Anche a teatro e in molti casi perfino all’interno della struttura stessa dello spettacolo, la forte componente ipnotica presente nelle nuove tecnologie merita di essere considerata attentamente. Cominciano ad essere davvero tante e sorprendenti le possibilità psico-percettive che si dischiudono ad un attore o per un danzatore.

Se per stato ipnotico intendiamo il classico stato alterato di coscienza (dove il nostro corpo si comporta come un meccanismo di feedback) allora possiamo tranquillamente dire che esiste la trance tecnologica. Che quei dispositivi sono in grado di provocare reazioni sensoriali che inducono uno stato alterato nella nostra esperienza conscia.

Molto banalmente si può ricordare quanto sia frequente un’induzione ipnotica raggiunta fissando il monitor del computer per un tempo prolungato, nell’attesa ad esempio di un collegamento Internet, o guardando lo schermo televisivo.

«Il video è assai più sensibile di ciò che l’obiettivo “vede” e il microfono “ode”…» scriveva recentemente un altro poeta dell’immagine di nome Bill Viola. Filosofo anche lui, ma senz’altro molto più vicino a noi del primo.

Un poeta del video, che non si identifica con il dinamismo e i frenetici montaggi da videoclip. I suoi sono paesaggi mentali che vanno attraversati con calma, muovendosi con il ritmo del suo lento camminare, immergendosi fino ad entrare completamente nel suo spazio mentale.

Stessa cosa si potrebbe dire delle videoambientazioni di un gruppo straordinario di artisti “sensibili” all’ipnosi come il gruppo Studio Azzurro… e si potrebbe continuare a lungo.

Del resto l’esperienza visionaria proposta dalle nuove tecnologie, dipende molto da chi la fa. Sta di fatto che quando abbiamo a che fare con veri capolavori di solito si verifica un accrescimento delle possibilità sensoriali, una sorta di trance nella quale soggetto e oggetto si fondono e assorbono a vicenda. Siamo immedesimati in noi stessi, eppure si ingloba il mondo circostante.

Ecco che forse allora per l’arte si aprono possibilità di ritrovare il suo spessore proprio dentro la tecnologia. Immergersi nell’opera, “sentirla” e “sentirsi” con rinnovata intensità.

 

Matilde Puleo