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Calo delle nascite: alcune riflessioni sulla nuova tendenza post-Covid

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Calo delle nascite: alcune riflessioni sulla nuova tendenza post-Covid
Close up of adorable baby feet on blanket

di Eleonora Francini

Lo scorso anno, con l’umanità intera bloccata a casa dal lockdown, più di qualcuno ipotizzava che la “clausura” avrebbe acceso la miccia di un nuovo baby boom, cioè un aumento repentino delle nascite che, come dimostra la storia recente, si è spesso verificato in corrispondenza dei momenti di maggiore incertezza, quando mettere al mondo un figlio è, o almeno sembra essere, un’assicurazione sul futuro.

Profezie a parte, però, i dati raccolti dai centri di ricerca nazionale e internazionale hanno rilevato una realtà completamente diversa. Infatti, al contrario delle aspettative, la pandemia ha determinato un vero e proprio baby bust, ossia un crollo delle nascite. Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero di nuovi nati nel 2020 è caduto al livello più basso degli ultimi quaranta anni, in Canada è tornato alla media registrata durante la Prima guerra mondiale, mentre in Italia sono nati solo 404.104 bambini, mai così pochi dall’unificazione del 1861.

Questa situazione, pertanto, ha portato alla ribalta un vecchio dilemma: il calo delle nascite, in realtà, è un bene o un male?

In un articolo sul Guardian, la giornalista Laura Spinney, esperta di storia della scienza, si è chiesta quali siano allora le ragioni di una così ampia diffusione di messaggi che invitano la popolazione ad avere «più figli». Secondo lei, una delle spiegazioni è che la nostra idea di società «sana» è ancora radicata nel passato. Nel diciannovesimo secolo, ad esempio, si chiedeva a gran voce il bisogno di integrare i giovani per far funzionare le fabbriche e per consumare ciò che queste producevano. Due secoli dopo, però, la realtà è ben diversa, poiché il lavoro è sempre meno “umano” ma più automatizzato e molti prodotti dei paesi sono destinati a un consumo globale. Inoltre, la giornalista dichiara anche che non ci sono prove a sostegno della tesi secondo cui i lavoratori giovani sarebbero oggi più produttivi di quelli più anziani. Secondo Sarah Harper, gerontologa dell’Università di Oxford, i ventenni e i cinquantenni hanno tipi di intelligenza differenti, ma sono entrambi gruppi rilevanti in termini di imprenditorialità. In breve: c’è spazio per tutti.

«C’è sicuramente del lavoro da fare, ma in un mondo in preda a una crisi climatica, a cui abbiamo aggiunto in appena un paio di secoli 7 dei quasi 8 miliardi di umani che lo popolano – e a cui quasi certamente aggiungeremo altri 3 miliardi, prima che i numeri ricomincino a scendere – è assurdo dire che quello che ci manca sono i bambini», afferma Spinney. «Abbiamo bisogno di soluzioni, ma che non abbiano per forza la forma dei bambini».

Tuttavia, c’è un’altra questione da tenere in considerazione. Secondo il modello demografico delle Nazioni Unite la popolazione mondiale salirà a 9,7 miliardi nel 2050, per poi cominciare a stabilizzarsi arrivando a fine secolo sui 10-11 miliardi. Il massimo, però, che il nostro pianeta può sopportare viene stimato in 8 miliardi. In questo quadro, però, il problema principale non è la mancanza di spazio sul Pianeta, bensì la carenza di risorse e il suo impatto ambientale. Già ora la popolazione mondiale consuma le sue intere disponibilità annuali in poco meno di sei mesi. Come potrà la Terra sostenere una popolazione in costante aumento? Ciò fa sì, tra l’altro, che il cosiddetto Earth Overshoot Day (giorno in cui l’umanità ha consumato tutte le risorse biologiche che gli ecosistemi naturali possono rinnovare nel corso dell’anno), ogni anno anticipa, al punto che la nostra impronta ecologica globale richiederebbe ormai 1,7 Terre, il che significa che siamo fuori dal pareggio di bilancio ambientale del 70%. Secondo la FAO, entro il 2050 la quantità di acqua potabile disponibile pro capite scenderà del 73%. Considerando che ogni anno ben 5 milioni di persone muoiono per la scarsità di acqua e per la mancanza di servizi igienico-sanitari di base è facile prevedere che in un futuro ormai prossimo il numero dei morti per questa causa sia destinato a salire.

Inutile aggiungere che i problemi della sovrappopolazione non fanno che aggravare quelli provenienti dai cambiamenti climatici. Si stima che l’aumento dell’80% di gas serra tra il 1970 e il 2010 sia dovuto per il 50% proprio all’incremento di abitanti. Una recente ricerca dell’OMS ha rilevato che, a causa dei cambiamenti climatici e dei fenomeni a esso collegati, ogni anno muoiono circa 300 mila persone, il 50% in più rispetto al 2000. Il livello di anidride carbonica presente nell’atmosfera ha già superato le 400 parti per milione, un livello che sulla Terra non veniva toccato da almeno 3 milioni di anni.

Pertanto, il problema demografico non è né secondario, né superato e la ricerca di una stabilità equilibrata ancora lontana da raggiungere. Ci sta, tutto, il richiamo ancora una volta profetico di papa Francesco a «procreare con consapevolezza».

D’altronde “di più” non sempre fa rima con “meglio”.