Da terapia intensiva alla degenza Covid di malattie infettive: altre 3 settimane, fino al 29 gennaio. Quindi un passaggio nelle cure intermedie dell’ospedale della Fratta. Il 30 gennaio il ritorno a casa.
“Non mi fermavo mai. Il Covid mi ha invece immobilizzato il corpo e la testa. Uscito dal coma, era come se tutti i cubi del cervello si fossero mischiati. Ho riacquistato lucidità ma la sensazione di non avere la forza di comandare il corpo è terribile. All’inizio della degenza in malattie infettive ero arrabbiato e non collaboravo. Facevo fatica a sopportare il casco e talvolta trattavo male anche quelle fantastiche persone, medici e infermieri, che avevano cura di me”.
Poi è iniziata la fisioterapia. “E questa mi ha cambiato la vita – ricorda Mauro. E’ iniziata quando ero in malattie infettive e il mio unico pensiero, quando mi hanno trasferito alla Fratta, era di poterla continuare dopo”. Andrea Giommoni è il fisioterapista che l’ha seguito sia nella degenza Covid che in ambulatorio e ancora oggi continua ad essere il suo punto di riferimento: “in degenza lo abbiamo stimolato al recupero della mobilità articolare e forza muscolare, nel posizionamento seduto e nel tentativo di statica. Cosa non semplice anche perché lui è di grande stazza”. E lui risponde: “mica è colpa mia se mi piace mangiare”.
Mauro migliora. “Un giorno mi è tornato in mente il codice fiscale ed ho capito che le cose stavano andando a posto. Quando i medici mi hanno detto che ce l’avrei fatta, mi sono dato un programma. Una roba seria, in 3 punti. Il primo: tornare a casa per vedere Elena e Linda, le mie nipotine. Il secondo: andare in bagno da solo. Il terzo: non essere di peso alla famiglia. Ce la sto facendo”.
“Ricordo – prosegue Bartoli – quando mi hanno messo in piedi la prima volta e la frase che mi dissero Emiliano Ceccherini, Direttore della Fisioterapia e la fisiatra Rosanna Palilla: ce la farai. Capivano che ero estremamente motivato e che dovevo recuperare la capacità di resistenza allo sforzo”.
Lui ce la mette tutta. “A casa ci sono mia moglie Rita, i figli Andrea e Mirco e mia nuora Silvia. Senza di loro non ce l’avrai fatta. Io ho avuto pazienza e fede e loro, ogni sera, si ritrovavano pregando per me. A casa mi muovo ogni volta che posso. Se la notte mi sveglio, mi siedo sul letto e alzo gambe e braccia”.
Nell’immediato futuro vede bicicletta e canna da pesca, la campagna aretina e il Mar Tirreno. La sua agenzia, aperta dal 1968, è nelle mani dei figli. La famiglia è al centro della sua vita. Della nuova vita. “Ho imparato molto e sono anche cambiato. Un mese è scomparso dalla mia storia ma i medici di malattia infettive lo hanno raccontato ogni giorno a mia moglie e ai miei figli. E ho saputo dell’angoscia con la quale hanno vissuto e interpretato la parola ‘stazionario’. Il tempo trascorso in ospedale e quello che uso adesso per la fisioterapia mi hanno convinto che io sono stato fortunato a nascere ad Arezzo. La famiglia e la fede mi hanno sostenuto ma a salvarmi sono stati tutti gli operatori che mi hanno seguito in un viaggio che per lunghe settimane è stato dall’esito incerto. E una mano è arrivata anche dai compagni di stanza. Uno di loro, Mario, mi disse al mio arrivo: vai che ce la fai. Ricordo lui che mi dava coraggio ma ricordo anche quelli che non ce l’hanno fatta”.
La riabilitazione continua. “Il cervello è tornato a dirmi di correre. Vorrei ma non ce la faccio. Almeno per ora. Intanto domenica ho cotto una nana ripiena sulla griglia nel giardino. La vita è ripresa”.