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“Tutti a scuola, oggi come ieri?”

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“Tutti a scuola, oggi come ieri?”

di Laura Privileggi

Il 15 settembre è suonata la campanella in ogni  scuola di ordine e grado con gli studenti che hanno potuto fare rientro nelle classi secondo le nuove disposizioni anticovid.

Regole  meno restrittive rispetto agli anni della pandemia, previste nel Vademecum inviato alla scuole dal Ministero dell’Istruzione per l’anno scolastico 2022-23.

A differenza dell’anno precedente non sarà più necessario per gli alunni indossare la mascherina fatta eccezione per personale scolastico e alunni fragili, più esposti al rischio di contagio (in questi casi saranno tenuti a utilizzare i dispostivi di sicurezza). Fine anche delle misure di distanziamento in classe e stop anche della didattica a distanza per chi risulta contagiato.

“Il primo giorno di scuola è  un giorno  carico di aspettative  ma anche pieno di momenti spensierati e di festa per il ritorno in classe. La scuola è una palestra di vita  e così va vissuta e apprezzata, richiede impegno, senso di responsabilità, rispetto per il prossimo,  in cambio regala il bene più prezioso: la libertà. La scuola oggi necessita di insegnanti che sappiano trasmettere amore e  passione per la materia che insegnano, studenti curiosi di apprendere.”

Si, è il discorso ufficiale  che si è sentito fare in questi giorni dai politici e dai vari rappresentanti scolastici.

Ma spostiamoci nel Valdarno,  a Laterina nel Comune di Arezzo. Facciamo un salto nel passato precisamente nel 1956 quando la voglia di ricominciare e di apprendere era veramente tanta. In quel momento storico la Toscana e l’Italia uscivano da una guerra che aveva sconvolto gli animi,  ma il desiderio di apprendere e di insegnare era fortissimo.

Grazie alle  testimonianze preziose raccolte nel Campo Profughi da Claudio Ausilio delegato provinciale  dell’ANVGD di  Arezzo (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)  molti episodi legati alla scuola sono giunti fino a noi.

Ma la scuola allora aveva le stesse difficoltà di oggi?  La maestra elementare Giulietta Del Vita di Montevarchi, ci risponde nel libro di Elio Varutti coordinatore del gruppo di lavoro storico scientifico ANVGD di Udine:

“Le difficoltà  per insegnanti ed alunni erano enormi, non avevamo nessuna esigenza, noi maestri eravamo dei pionieri e facevamo  lezione al Centro Raccolta Profughi senza stipendio, presso la scuola sussidiata di Laterina, i bambini però avevano una gran voglia di imparare ed erano molto intelligenti.

Ho insegnato per un solo anno in una stanzina fredda e umida, avevo 19 anni ma mi sono trovata bene con i miei scolaretti e con le loro famiglie. Allora c’erano le cosiddette “scuole sussidiate” con maestri non pagati; lo si faceva per avere punteggio nelle graduatorie del Provveditorato agli Studi. Spesso erano delle pluriclassi appena arrivavano i nuovi bambini al Campo Profughi, li si inseriva in una classe prima, perché si orientassero.”

La maestra Giulietta in quell’anno, aveva ben 34 iscritti, 11 maschi e 23 femmine, con esami svolti dal 3 al 4 luglio 1957 e nel registro di classe usava descrivere  il locale scolastico in cui insegnava:

“Il tetto è resistente a tutto meno che alla pioggia, mura disadorne, tre finestre che permettono di vedere una bella campagna ed anche il vicino paese. Ho una lavagna, i banchi e le seggiole. Quando usciamo  facciamo passeggiate vicino all’Arno, o alla centrale elettrica.”

Avevamo, continua Giulietta Del Vita nel suo racconto,  “il Decalogo del bravo insegnante” che, se non fosse autentico, oggi potrebbe sembrare uno scherzo. Veniva dato ad ogni maestro con la consegna della nomina di insegnamento firmata dal Provveditore agli Studi della Provincia. Era un pezzo di carta importantissimo per un insegnate statale.

Il vademecum recitava così, ecco alcuni punti: “Sii umile e modesto, non avere fretta di avanzare, sii di costante esempio, non essere sollecito nel giudicare male gli alunni.”

“I ricordi disagevoli della vita nelle baracche  sono intensi da raccontare, ci spiega Claudio Ausilio nella sua ricostruzione storica, tanti volti, tanti educatori, tanti bambini intelligenti ed educati che nella vita poi hanno fatto strada.”

La maestra Annunziata Merlini Rotesi che negli anni ’50 insegna a Laterina in un quel Campo Profughi, nella relazione finale lamenta “un ambiente poco igienico con assenza di arredi necessari.”

Il clima di allora era quello di crescita civile, democratica, nonostante il disagio estremo di fare scuola in una baracca con tavoloni di legno panche e sussidiario. C’era la voglia di imparare, di crescere e soprattutto di futuro. Quel futuro che dopo il dramma della guerra si apriva davanti agli occhi della gente.  Un sogno possibile e realizzabile, come?  Con la volontà di andare avanti. Pagine di storia da non dimenticare.

Ai nostri giorni,  c’è molta esposizione ai media digitali, lavagne interattive multimediali, registri elettronici e via dicendo. Il  mondo della scuola è cambiato notevolmente, un tempo bastava un quaderno a quadretti e tanta fantasia. Viviamo in un’era che sta rivoluzionando qualsiasi aspetto delle nostre vite, gli studenti di ogni età oggi hanno a disposizione molti più elementi e stimoli per vivere il loro percorso di istruzione.

(Foto, disegni e collezioni private citate nell’articolo provenienti dal  Provveditorato Studi Arezzo, Claudio Ausilio esule da Fiume a Montevarchi  dell’ANVGD provinciale di Arezzo, archivi storici del  Comune di Laterina,  ANVGD di Udine, Istituto Comprensivo Francesco Mochi di Levane).