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Chi ha diritto all’apprendimento

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"L'educazione non può essere pensata come strumento per formare mano d'opera: mai come oggi abbiamo assistito ad una contraddizione: persone istruite che uccidono o commettono violenze nei confronti di altre persone. E' in gioco la ridefinizione delle finalità e delle modalità dell'educazione, occorre ancorare l'educazione ai diritti umani. Abbiamo imparato poco dalla storia: non so se occorre più sognare o essere decisi”. Così, nella prima giornata del convegno, Vernor Muñoz, relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’educazione, ha suscitato tra i presenti un interrogativo riguardo ad una possibile revisione del concetto stesso di educazione. Un’educazione che non si leghi ai diritti umani come valori trasversali, interculturali irrinunciabili non può oggi essere progettata.

Nelle due giornate aretine gli stimoli e le tematiche affrontate sono stati moltissimi: si sono succeduti interventi in assemblea, lavori di sei gruppi tematici e addirittura la presentazione di un percorso per giungere alla definizione di una legge di iniziativa popolare sull’educazione degli adulti, proposta dal Tavolo Eda promosso da Edaforum. Gli accenti principali hanno riguardato l’analisi della situazione sul diritto all’apprendimento nel mondo ed in Italia con uno sguardo che ha incrociato costantemente il livello globale con il livello locale.
La situazione italiana ha certamente delle differenze rispetto ai paesi con problemi di indigenza, paesi nei quali l’analfabetismo si affianca a povertà o ad assenza di democrazia e tutela. In questi paesi il problema è ancora l’accesso: 27 paesi devono essere considerati in seria difficoltà nel raggiungimento della scolarizzazione totale entro il 2015, addirittura se si mantengono le attuali tendenze i loro tassi di scolarizzazione non supereranno nemmeno il 50% nel 2015, come riporta la Relazione sullo stato dell’educazione, del relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto all’educazione, contenuta nel volume “Apprendere è un diritto” (a cura di Federico Batini, ETS edizioni, collana AltrEducazione), presentato in anteprima in occasione del convegno (volume originalmente composto da due parti, una di saggi sull’apprendimento come diritto ed una di racconti sullo stesso tema).

I sistemi educativi e formativi italiani sono, ancora oggi, dei sistemi che producono ineguaglianze, differenze che non riescono a coinvolgere i soggetti che vi sono immersi in termini di produzione della conoscenza e partecipazione ad essa. Altro problema rubricato è senza dubbio la tendenza alla conservazione dei sistemi educativi italiani, l’incapacità di dare esiti soddisfacenti: l’ultima indagine dell’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione) riporta un dato terrificante: soltanto il 58% degli alunni delle scuole superiori (dunque un campione compreso nella parte più istruita della nostra popolazione…) capisce ciò che legge. Nel nostro paese l’evoluzione dei principali indicatori di scolarizzazione ci vede ancora ampiamente al di sotto della media europea, basti un dato: il tasso di conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore è, in Italia, del 72,9% per i ventiduenni mentre la media dell’Europa allargata ai 25 paesi è del 78,7%. Dalla ricerca ALL (sei paesi coinvolti, rapporto pubblicato nel 2006) emerge come ben un terzo degli italiani, compresi tra i 24 ed i 65 anni, non superi il livello di analfabetismo funzionale (incapacità di comprendere un testo narrativo breve e semplice, incapacità di isolare due numeri in una tabella etc…).

Pablo Gentili (professore all'Università di Rio de Janeiro, primo ricercatore del Laboratorio di Politiche Pubbliche, coordinatore dell'Osservatorio Latinoamericano sulle Politiche Educative), ci ha richiamato ad una diversa idea di valutazione: non si può fare riferimento soltanto alle competenze che vengono “prodotte” ma occorre considerare l’impatto sulla qualità sociale dei nostri diritti, una modalità quantitativa di valutare l’educazione che utilizzi, cioè, criteri di efficacia ed efficienza non riesce a giustificare il senso dell’educazione.
Al grande filosofo Adorno, ricordava ancora Gentili, poco prima di morire fu chiesto a che cosa, a suo parere, dovesse servire l’educazione: l’educazione serve perché Auschwitz non si ripeta mai più. La domanda successiva fu su come l’educazione potesse farlo, ed Adorno rispose: l’educazione può rendere Auschwitz insopportabile in senso morale.

Dopo due giornate di intenso lavoro che hanno coinvolto centinaia di persone da tutta Italia la convinzione generale dei molti partecipanti è stata quella della necessità di ancorare i processi educativi alla qualità della vita dei soggetti ed ai diritti umani e in tal senso ci si è dati appuntamento all’ottobre 2007 con il quarto convegno sul diritto all’apprendimento che rifletterà proprio su questa necessità.

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