MIALNO – Sono circa 1 milione e 700 mila gli italiani che nella loro vita hanno avuto una diagnosi di tumore. E' un fenomeno molto diffuso e con delle implicazioni sociali rilevanti.
Ma secondo il 75% degli italiani "dalle patologie tumorali si può guarire", è questo un dato molto interessante che emerge dall'indagine svolta dal Censis per conto del Forum della ricerca biomedica su un campione di 1.000 italiani (dei quali il 56% con esperienza diretta o indiretta di malattie tumorali).
Tuttavia, il 68% degli intervistati ritiene il tumore "una malattia che, anche una volta sconfitta, rende necessario controllare la propria salute con attenzione anche dopo molti anni". Il 25,2% crede che sia una patologia "con gravi sofferenze contro cui ancora troppo poco si può fare".
E i tumori continuano a fare molta paura, tanto che oltre il 67% degli intervistati, li ha indicati come la patologia che più temono possa affliggerli intaccando la salute e la qualità della vita.
L'indagine ha anche consentito di analizzare quali siano, di fronte a una diagnosi di tumore, le reazioni ritenute dai cittadini più comuni. Ed è ancora una volta "la paura" la reazione più comune sia per coloro che non hanno avuto esperienza, diretta o indiretta, di tumore che per gli altri; ma va sottolineato che tra chi ha sperimentato il tumore è significativamente più alta la quota che indica come prima reazione "la voglia di reagire".
I problemi più gravi sono rappresentati: dall'individuazione dell'oncologo da contattare e della struttura alla quale rivolgersi (indicato dal 39,4% degli intervistati), le capacità professionali degli operatori con cui sono venuti in contatto (medici, infermieri ecc.), anche negli aspetti psicologici e relazionali (33,1%), la qualità dei servizi nei luoghi di ricovero e negli ospedali (segnalata dal 32,1%), la rapidità nell'accesso ad alcuni esami diagnostici di controllo (scintigrafie, tac) indicata dal 30,1%, e infine la disponibilità e attenzione del medico di medicina generale dopo il ritorno a casa (20,2%).
Nell'oncologia, inoltre, si riflette un divario territoriale, da nord, al centro al sud, nell'accesso alla tutela della salute che, appare ormai consolidato e consente di sottolineare come la questione meridionale sia stata sostanzialmente superata in molti ambiti della vita nazionale mentre continua a riemergere in modo sostanziale nel rapporto tra cittadini e Servizio sanitario.
Alle patologie tumorali sono associati anche complessi problemi bioetici. Nell'indagine si è voluto cogliere il punto di vista degli italiani su chi dovrebbe e quando, eventualmente, interrompere una terapia che prolunga la vita della persona. Il 57% del campione crede che il malato o un suo familiare più prossimo hanno diritto a scegliere quando interrompere la terapia, a fronte di un 43% che, invece, ritiene sia necessario continuare le cure sino a che c'è possibilità di mantenere il malato in vita. Dal 2003 la percentuale di coloro che si dichiarano favorevoli all'interruzione delle terapie è aumentata del 7%, quindi tra i cittadini sembra diffondersi un'idea di auto-determinazione fondata sulla convinzione che è la soggettività a dovere prendere le decisioni finali sulla propria salute, anche quando include la prospettiva della morte.
Nell'ambito del Monitor biomedico viene presentata anche un'analisi dell'andamento delle opinioni dei cittadini su devolution, performance dei servizi sanitari e sulla ricerca, da cui emergono elementi di criticità complessiva del sistema.
La ricerca viene presentata oggi a Roma, presso l'Auditorium del Ministero della Salute, da Giuseppe De Rita, Francesco Maietta, Carla Collicelli, Francesco De Lorenzo, Sergio Dompé, Ignazio Roberto Marino, Daniela Minerva, Francesco Perrone, Pasquale Spinelli.