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L’allenatore errante

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L’allenatore errante

Tra le squadre di calcio italiane, ce n'è una – il Torino – che può vantare, tra i molti primati, d'aver vinto cinque scudetti consecutivi, negli anni più terribili e al tempo stesso esaltanti della nostra storia: 1942-43, 1945-46 (i due campionati precedenti non furono disputati, per via della guerra), 1946-47, 1947-48, 1948-49. Quest'ultimo fu assegnato "d'ufficio": i granata erano già matematicamente campioni d'Italia quando – di ritorno da Lisbona per un'amichevole – l'aereo sul quale viaggiavano, un trimotore Fiat 202, si schiantò contro la collina di Superga. Era il pomeriggio del 4 maggio 1949. Il bilancio di quella tragedia fu di trentuno morti, nessun superstite.

A bordo, ovviamente, c'era anche l'artefice di quella ininterrotta serie di trionfi, ch'erano valsi alla squadra l'appellativo di "Grande Torino": un ineguagliato genio del pallone, l'allenatore Ernest "Egri" Erbstein. Ebreo ungherese, immigrato in Italia nel 1919, costretto ad abbandonare il nostro paese nel 1938 con l'avvento delle leggi razziali, fortunosamente scampato alla barbarie nazista, 51 anni, sposato e con due figlie. Eppure, Erbstein è un nome dimenticato, la sua immagine appare raramente anche nelle foto ufficiali. Perché?

Leoncarlo Settimelli ne racconta la vicenda umana e sportiva in L'allenatore errante. Storia dell'uomo che fece vincere cinque scudetti al Grande Torino (Editrice ZONA – pp. 160, 15 euro – collana "900 storie", diretta da Carlo D'Amicis – in libreria dal prossimo 27 gennaio). L'io narrante è Cassini – personaggio dietro il quale non si fatica a riconoscere lo stesso Settimelli – impegnato nella realizzazione di uno sceneggiato radiofonico sulla figura di Erbstein, che scopre fin dall'inizio delle sue ricerche che qualcosa di non detto ne oscura la memoria.

Cassini ricostruisce la lunga e rocambolesca diaspora di Erbstein: la fuga dall'Italia attraverso l'Europa, con tutta la famiglia, prima verso l'Olanda poi verso la nativa Ungheria, dove continuerà a fuggire la persecuzione delle SS e delle sanguinarie "Croci frecciate", e da dove – grazie alla trasformazione del cognome in "Egri" – riuscirà qualche volta a fuggire in Italia per incontrare segretamente Novo, il presidente del Torino, e indicargli i calciatori da acquistare. Per rinforzare la squadra che aveva lasciato a malincuore, e alla quale avrebbe regalato la più lunga e fortunata stagione del calcio italiano.

Grazie a numerose testimonianze – la figlia Susanna Egri, l'attore Raf Vallone, da giovane calciatore del Torino e cronista dell'Unità, i giornalisti Antonio Ghirelli e Giorgio Tosatti (il padre Renato, corrispondente della "Gazzetta del popolo", era al seguito della squadra e morì anch'egli a Superga), il terzino Sauro Tomà, scampato alla morte perché infortunato… – il copione dello sceneggiato di Cassini prende forma, qua e là attraversa e scandisce la narrazione, con i suoi rumori, le canzoni di sottofondo, le voci dei personaggi. La storia di Cassini, intanto, s'intreccia a quella di Erbstein, nel ricordo di tutti gli ebrei – e sono molti, fatalmente – che il narratore ha incontrato: da Marcella, orfana adolescente di genitori deportati (nascosta in casa di Cassini, a Firenze, quando lui aveva solo otto anni), al "violinista di Auschwitz" Jacques Stroumsa, fino a Moni Ovadia.

Ma perché Erbstein è stato dimenticato? Cassini scopre che L'allenatore errante fu vittima di un'infamia, dalla quale fu costretto a difendersi pubblicamente nel 1947: fu accusato di essere una spia russa, di aver tramato contro la nazionale italiana in occasione di un incontro con la nazionale ungherese, di avere simpatie e amicizie comuniste. Questo ha cancellato il suo nome dagli annali delle glorie sportive nazionali? O il fatto stesso che fosse ebreo ha alzato intorno a lui il muro del pregiudizio e dell'oblio? Il racconto di Cassini diventa un ideale strumento di giustizia, un modo per rendere al grande Erbstein ciò che è suo. Un doveroso tributo di memoria, una storia avventurosa e commovente che doveva essere raccontata, e che Settimelli racconta con la consueta, grande maestria.

LEONCARLO SETTIMELLI fiorentino di nascita, romano d'adozione, giornalista, regista e scrittore, dice che il proprio mestiere è "comunicare, raccontare, con una canzone, un documentario, un libro". Autore e regista di programmi tv per i quali ha ottenuto importanti riconoscimenti, è stato – tra l'altro – il leader del "Canzoniere Internazionale", gruppo storico di folk-revival e canzone politica nato nel 1967, per il quale ha scritto memorabili canzoni sociali e di protesta confluite in spettacoli, dischi e libri. Ha pubblicato di recente una raccolta di Canti dei lager, divenuta anche un CD. Lavora alla serie "Ritratti" per Rai Tre.