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La giustizia italiana non va in rete

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La giustizia italiana non va in rete

ROMA – A cinque anni dal regolamento ministeriale per l’informatizzazione dei processi civili, l’Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari del Cnr fa il punto: la rivoluzione dell’e-justice è ancora lontana

I nostri uffici giudiziari rischiano di collassare sotto il peso di nove milioni di processi pendenti e di 2 milioni e mezzo di reati denunciati ogni anno. Una macchina farraginosa, considerata lenta e costosa dal 90% degli italiani, che potrebbe avvantaggiarsi dei sistemi informatici, come previsto da decreti e linee guida, garantendo maggior efficienza, trasparenza e qualità al nostro sistema giustizia.

L'Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari (Irsig) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna ha svolto un'indagine per comprendere a che punto sono le amministrazioni giudiziarie, dell'Italia e di altre nazioni, nell’utilizzo delle nuove tecnologie. I risultati, pubblicati nel volume “Tecnologie per la giustizia”, sono deludenti per quanto concerne il nostro Paese. “Dal punto di vista meramente tecnologico”, dice il prof. Giuseppe Di Federico, direttore dell'Irsig-Cnr, “il ministero della Giustizia ha fatto passi in avanti nella realizzazione delle infrastrutture di base, grazie soprattutto ai cospicui e crescenti fondi investiti durante gli anni ‘90 e sino al 2001. Tuttavia, se si guarda alle tecnologie di supporto al lavoro di cancellieri e magistrati, per non parlare dell’e-justice, cioè dell’utilizzo delle reti informatiche per scambiare dati e documenti giudiziari, i risultati sono assai poco soddisfacenti. Un significativo numero di iniziative avviate non sono state portate a termine, per motivi diversi. La successiva riduzione degli stanziamenti causata dalla contrazione della spesa pubblica, ha poi provocato la paralisi del ministero, intrappolato in progetti eccessivamente complessi che non riescono ad abbandonare la fase sperimentale per gli alti costi di sviluppo e implementazione”.

“Fra gli applicativi funzionanti, ma che necessiterebbero di radicali aggiornamenti”, spiega Davide Carnevali dell’Irsig-Cnr, che insieme con i colleghi Marco Fabri e Francesco Contini ha svolto la ricerca, “vi è il Re.Ge (Registro Generale) per la gestione dei procedimenti penali, installato in tutti i 165 tribunali, nelle relative procure della Repubblica e nelle 26 corti di appello. Però, nei rari casi in cui si è cercato di migliorare l’applicativo a livello locale, abbozzando utili integrazioni con i programmi di videoscrittura per la creazione automatica dei provvedimenti, la Direzione generale Sistemi informativi automatizzati del ministero ha generalmente disincentivato tali iniziative, nel timore di assistere ad un utilizzo del software diverso da ufficio a ufficio senza offrire valide alternative”.

“Carenze consistenti emergono sul fronte dei servizi di interoperabilità”, interviene Francesco Contini. “La posta elettronica è diffusa, ma non essendo considerata mezzo ufficiale di comunicazione spesso è ancora limitata a preannunciare documenti inviati poi via fax o per posta. Il protocollo informatico, invece, è stato attivato ma solo come registro e perciò non consente l’archiviazione e lo scambio di documenti”.

Il processo civile telematico sembra generare le aspettative più elevate. “Un progetto in cantiere dal 2000”, dice Marco Fabri, “che mira ad un procedimento civile senza carta in cui tutte le transazioni fra le parti e l’ufficio giudiziario (giudice, personale di cancelleria, ufficiale giudiziario) avvengano elettronicamente dando vita al cosiddetto fascicolo elettronico, accessibile all’interno e all’esterno dell’ufficio. I programmi del ministero prevedono la sperimentazione in sette uffici giudiziari pilota (Bari, Bergamo, Bologna, Catania, Genova, Lamezia Terme e Padova) e il successivo sviluppo in almeno altri 50. Questo progetto ha comportato una spesa di quasi 5 milioni di euro nel 2003 e di 3.800.000 euro nel 2004. Purtroppo le ambizioni del progetto devono fare i conti con le caratteristiche organizzative degli uffici, il quadro normativo ed istituzionale di riferimento e le persistenti e note difficoltà di cambiamento della nostra amministrazione giudiziaria. Non possiamo quindi che essere pessimisti in merito alle reali possibilità che il processo civile telematico produca i risultati indicati nel piano triennale per l’informatica 2005-2007: un’accelerazione delle cause di almeno il 20% e un recupero di efficienza nei servizi di cancelleria del 30-40%”.

All’estero i casi di successo mostrano invece come un approccio più pragmatico sia in grado di favorire l’evoluzione dei servizi elettronici. Money Claim On-Line, sviluppato in Inghilterra e Galles a partire da un data base preesistente, permette ad esempio al cittadino di ottenere un decreto ingiuntivo on line. In Finlandia, grazie a semplici cambiamenti del codice di procedura, è possibile iniziare un procedimento civile o penale attraverso una comunicazione via fax o e-mail con il risultato che il 65% dei documenti ricevuti dalle corti in materia civile sono depositati in forma elettronica. L’Austria, invece, “incentiva” l’utilizzo del proprio sistema di e-justice attraverso una riduzione dei cosiddetti diritti di cancelleria da applicare ai documenti giudiziari inviati per posta elettronica. Questi, come altri esempi di successo realizzati non solo in Europa, sono accomunati da una costante attenzione volta a garantirne semplicità di utilizzo e a limitare fonti di complessità tecnologica, normativa e organizzativa molto difficili da gestire.

“L’approccio italiano ha finito per proiettare il nostro paese in un tunnel di progetti costosi, difficili da sviluppare e da adottare, e di un apparato normativo sovradimensionato”, conclude il prof. Di Federico. “Se il ministero della Giustizia nei prossimi anni non sarà capace di semplificare sistemi informativi e regole di accesso ai servizi, focalizzando gli sforzi in base a priorità reali, l’e-justice in Italia difficilmente farà passi in avanti. I ritardi vengono sempre imputati alla mancanza delle risorse, senza spiegare perché i passati finanziamenti abbiano prodotto risultati tanto modesti. Senza variazioni nelle strategie, ulteriori risorse aumenteranno solo la sproporzione tra costi e benefici”.