AREZZO – Ad Arezzo dal 31 marzo al 22 luglio 2007 Piero della Francesca è il protagonista di uno straordinario appuntamento espositivo — Piero della Francesca e le corti italiane — promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Provincia di Arezzo, dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Arezzo, dai Comuni di Arezzo, Sansepolcro e Monterchi, dalla Comunità Montana Valtiberina Toscana, dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Arezzo, da Banca Etruria, da Toscana Promozione e dall’Agenzia per il Turismo di Arezzo, con il contributo di Enel e l’organizzazione di Villaggio Globale International (catalogo Skira) — che riunirà da tutto il mondo, presso il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna di Arezzo, oltre un centinaio di preziose opere, tra capolavori del maestro, ricondotti per l’occasione nella sua terra, e lavori di artisti che lo influenzarono o che attinsero alla sua lezione, tra i quali: Domenico Veneziano, Fra Carnevale, Pisanello, Leon Battista Alberti, Bono da Ferrara, Jacopo Bellini, Luca Signorelli, Rogier Van der Weyden, Pietro Perugino, Melozzo da Forlì, Lorenzo da Viterbo, Antoniazzo Romano.
Piero della Francesca: un artista capace di cogliere gli stimoli e le sollecitazioni della cultura del tempo, lasciando un segno indelebile nella storia dell’arte; “scienziato per essere miglior pittore”, creatore di una pittura che va al di là del tempo, perfetta e impercettibile, misteriosa e potente; pittore, con una particolarissima capacità astrattiva che ricrea l’universo nei suoi rapporti matematici e nella sua purezza compositiva, dove l’ amore per l’ uomo diventa sobrietà, monumentalità, in un riserbo che sa essere ora impervio, ora popolarmente comunicativo.
Uomo coltissimo, la cui levatura intellettuale e la cui personalità acquisiscono contorni più precisi e definiti grazie a recenti studi e alle tesi proposte dalla mostra, Piero — molte delle cui opere sono andate perdute e sulla cui vita e attività poche erano finora le notizie certe — rivivrà attraverso questa importante esposizione, che propone una serie di novità nella conoscenza dell’artista, a partire dalla sua data di nascita (1412), e che è curata dal soprintendente Giangiacomo Martines, da Carlo Bertelli e Antonio Paolucci — entrambi autori di monografie su Piero della Francesca — con un comitato scientifico internazionale del quale fa parte anche Marisa Dalai Emiliani, presidente della commissione per la pubblicazione nazionale delle opere di Piero della Francesca.
La capacità di Piero di incidere nella cultura del tempo, il suo decisivo contributo alla formazione dell’arte ferrarese, umbra e delle Marche, così come il ruolo di ambasciatore del nuovo stile e delle nuove idee nelle principali corti d’Italia — mantenendo, tuttavia, un’assoluta autonomia di vita e di pensiero e rifuggendo dal ruolo di pittore di corte — sono elementi che verranno messi in risalto nel percorso della mostra.
Un affascinante viaggio che, partendo dai luoghi d’origine di Piero, accompagnerà il visitatore tra le corti del rinascimento, ricostruendone clima, cultura, protagonisti, scambi e incontri, attraverso la figura del maestro e gli echi della sua arte.
Dalla casa a Sansepolcro alla corte dei Baglioni a Perugia, come collaboratore di Domenico Veneziano; dal soggiorno a Firenze, con la visione della corte bizantina, alla permanenza presso la corte estense di Ferrara, con la sua influenza su artisti coevi come i Lendinara e i maestri dello studio di Belfiore; dall’arrivo a Rimini alla corte dei Malatesta al contatto diretto con Roma, dove soggiorna nel 1455, lavorando per Niccolò V, e ancora
nel 1459 lavorando per Pio II in Vaticano. Il viaggio di Piero prosegue quindi alla volta di Urbino presso i Montefeltro dove si dedica alla scrittura del Trattato sulla prospettiva ed il cui passaggio lascerà riflessi nelle opere di Giovanni Santi del Laurana. Infine presso i della Rovere, ove dipinge la splendida “Madonna di Senigallia”.
Accanto ad alcuni significativi capolavori del grande maestro, importanti lavori di artisti a lui contemporanei — dipinti ma anche codici, disegni, ori, medaglie, sculture e bronzi — provenienti da alcune delle più prestigiose collezioni internazionali (il Musée du Louvre di Parigi, il Szepvezesti Museum di Budapest, il Kunstmuseum di Dusseldorf, la collezione Salander — O’Reilly di New York, l’Albertina di Vienna, il Victoria and Albert Museum di Londra, la Walters Art Gallery di Baltimora e ancora la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, il Museo di Capodimonte, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano, le Gallerie dell’Accademia e il Museo Correr di Venezia, ecc.) tratteggeranno quindi — in un allestimento che porta la prestigiosa firma dello studio Cerri e Associati — i caratteri salienti e più significativi della permanenza di Piero in ogni corte e dell’influenza che egli finì con l’esercitare sulla pittura locale.
Un continuo andare quello di Piero che tuttavia non ha impedito un profondo e intenso legame con le sue terre, ove torna più volte lasciando alcuni dei più importanti capolavori: e i colori e i ritmi delle terre di Arezzo rivivono nelle opere di del maestro, che solo qui — nei suoi luoghi — può essere pienamente compreso.
“Piero della Francesca e le corti italiane” è così, ad un tempo, una mostra e un itinerario, un evento capace di presentare due aspetti della personalità di Piero: il pittore dell’imperturbabile dittico del “Duca di Urbino” ma anche della sublime maternità della “Madonna” di Monterchi.
Piero, artista itinerante, non avrebbe potuto essere relegato in un unico luogo, e da Arezzo — la città che ospita i suoi celebrati capolavori nella cattedrale e in San Francesco — uno speciale itinerario accompagnerà i visitatori in cerca dei suoi lavori e lungo le vie delle sue terre, nella valle superiore del Tevere.
La mostra vive così anche dei capolavori lasciati da Piero ad Arezzo, con il ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce, unanimemente considerato il suo capolavoro, e con la bella Maddalena nella cattedrale; ma anche a Sansepolcro, suo borgo natale, con la Resurrezione e il Polittico della Misericordia, precoce manifesto di una nuova pittura, presentato nell’occasione senza l’intelaiatura e aperto ad un dibattito — a cinquant’anni dal restauro di Cesare Brandi — sui temi dei polittici contemporanei e dei criteri di ricostruzione; e ancora a Monterchi, con l’affascinante Madonna del Parto: momenti imperdibili di questo evento, in un paesaggio che mantiene intatto il sapore e i colori del tempo.
E mentre tutto intorno si stendono i paesaggi e i borghi che ritroviamo nei dipinti di Piero, ad Arezzo nelle belle sale del rinnovato Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna, a testimoniare il Piero teorico e matematico, ci saranno i manoscritti originali del trattato “De Prospectiva pingendi” — il più importante sforzo speculativo dell’artista — nella versione conservata alla Biblioteca Ambrosiana di Milano e in quella manoscritta e ritenuta autografa della Biblioteca Palatina di Parma; le due versioni dell’opera teorica che il pittore di Borgo dedica all’aritmetica e ai problemi di algebra — il “Tractato de Abaco” — dalla Biblioteca Nazionale Centrale e della Biblioteca Laurenziana di Firenze e il suo “Tractato di pratica di geometria”, affiancati a capisaldi della trattatistica del tempo come il “Summa de aritmetica, geometria” o il “De divina proporzione” di Luca Pacioli che diffonde le ricerche teoriche di Piero sui volumi.
Quindi i prestiti eccezionali di celeberrimi capisaldi della poetica di Piero: la “Madonna di Senigallia” dalla Galleria Nazionale delle Marche, commissionata forse da Federico da Montefeltro in occasione del matrimonio della figlia Giovanna con Giovanni della Rovere, sorprendente per la qualità della resa atmosferica e per la fusione perfetta tra dominio della forma e poesia della luce; il “Dittico dei Duchi d’Urbino”, due tavole dipinte su entrambi i lati che costituiscono l’emblema dell’arte di Piero della Francesca nel mondo; il bellissimo “Ritratto di Sigismondo Malatesta”, i cui domini si estendevano da Cesena a Senigallia e dunque comprendevano anche Sansepolcro, attribuito a Piero della Francesca dal Longhi nel 1942 e che il Louvre di Parigi — ove il dipinto è giunto in tempi recenti — presta in via straordinaria; il “San Gerolamo ed un devoto” dalle Gallerie dell’Accademia, in cui sono molteplici i riferimenti all’arte fiamminga e la “Madonna con bambino” detta la Madonna di Villamarina che la Fondazione Cini custodisce tra i suoi maggiori tesori.
A dare nuova luce e significato all’opera di Piero della Francesca, accanto ai capolavori del maestro ci sono quindi in mostra lavori di straordinaria importanza, dal punto di visita storico, artistico e iconografico, di artisti coevi: dalla londinese “Medaglia di Sigismondo Pandolfo Malatesta” di Pisanello (che tanta influenza ebbe su Piero e di cui sono in mostra anche numerosi disegni dal Louvre ed uno bellissimo da Chicago) — confronto importante per la rappresentazione che darà Piero del potente signore — alla bellissima “Presentazione al Tempio” che giunge da New York, di Luca Signorelli, artista accanto al quale Piero partecipa alla decorazione della cappella Sistina; dal penetrante Rogier Van der Weyden con il “Compianto sul Cristo morto” dagli Uffizi, che mostra la grande influenza che ebbe su Piero la scoperta della pittura ad olio, negli gli esiti dei fiamminghi, alle tavole di Giovanni Boccati — camerinese attivo anche a Perugia e di cui è in mostra, tra l’altro, l’affascinante “Madonna del pergolato” della Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia — o di Antoniazzo Romano, che muove i suoi primi passi fortemente influenzato dall’opera di Piero e di cui è in mostra anche un inedito ed importante “Ritratto di prelato”, appositamente giunto dal Sudamerica; ancora l’affascinante “ Scena di battaglia” di anonimo ferrarese, da Baltimora, copia di epoca manierista della battaglia affrescata da Piero nel palazzo estense, durante il soggiorno a Ferrara, distrutta a causa di un incendio agli inizi del Cinquecento.
I curatori dell’evento su Piero, che si arricchisce anche di una serie di iniziative collaterali — come un speciale approfondimento espositivo a Sansepolcro, ove verrà anche ricostruito il trittico del Battesimo di Cristo grazie ad una perfetta copia ottocentesca del famoso scomparto centrale conservato a Londra — non hanno voluto richiedere opere del maestro che, per nessuna ragione, hanno ritenuto, andrebbero spostate dalla loro sede. Mentre la pala di Brera è stata posta in tutta evidenza dalla recente mostra su Fra Carnevale, La Flagellazione sarà sottoposta ad un ampio dibattito in loco.
Ad Arezzo, dunque, le due opere inamovibili — Pala di Brera e Flagellazione — sono presentate con un’analisi del loro impianto spaziale, mentre un inedito documentario firmato da Anna Zanoli, sul lungo e complesso restauro della Leggenda della Vera Croce, verrà ad arricchire il percorso espositivo.
Piero — che conosce le grandi capitali dell’arte, vive a Ferrara, a Rimini, Firenze e Roma, ma preferisce le colline dell’Appennino — incarna lo spirito dell’Umanesimo, con la mente liberata dai vincoli medievali, e nella sua ricerca, anche intellettuale, di una nuova interpretazione e resa di spazio, luce, colore e architettura, anticipa il passaggio al secolo successivo.
Quasi come un segno del destino, muore il 12 ottobre del 1492, lo stesso giorno della scoperta dell’America, in cui — secondo le convenzioni degli storiografi — finiva il Medioevo e aveva inizio l’Età Moderna.