AREZZO – “La lotta politica si fa con i mezzi che si ha a disposizione e dunque non si può contestare al centrodestra di avere scelto questo terreno, anziché altri, sul quale incalzare (e tentare di dividere) la maggioranza.
Mi sembra, però, che la proposta di revoca dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in quanto pretende censurare non già il comportamento (ritenuto privo della necessaria imparzialità) del Presidente del Consiglio Comunale nell’esercizio delle sue funzioni, bensì la libera manifestazione del pensiero, che costituisce, come tutti i consiglieri del centrodestra sanno, un diritto intangibile di ogni cittadino e che per il consigliere comunale (quale è comunque Caroti) rappresenta il principale mezzo espressivo al fine di assolvere al mandato ricevuto.
È proprio la giurisprudenza citata nella proposta di delibera a chiarire il limite della proponibilità della revoca, che tende a salvaguardare il buon funzionamento dell’ufficio messo in pericolo da atteggiamenti (inerenti l’ufficio) assunti in violazione di leggi o di regolamenti, o comunque gravemente lesivi del prestigio istituzionale che caratterizza ogni incarico, vieppiù quelli di garanzia.
Il giudice amministrativo ha infatti dichiarato illegittima una revoca per ragioni politiche assumendo che il comportamento censurato non solo non aveva violato alcun dovere (normativamente stabilito) ma era correlato “all’esercizio…di un diritto…costituzionalmente protetto”.
Il centrodestra lamenta che le espressioni usate da Caroti non sono improntate alla neutralità (non ho riscontrato la frase citata nel secondo capoverso).
Se le espressioni contestate Caroti le avesse pronunciate nell’esercizio della sua funzione di presidente la delibera di revoca sarebbe stata probabilmente ammissibile (salva la libera valutazione del Consiglio).
Poiché invece tali espressioni sono state spiegate, incontestabilmente, al di fuori dell’esercizio della funzione di presidente ritengo che il consiglio comunale dovrebbe dichiarare inammissibile la proposta di delibera, in quanto tende a limitare (e dunque finisce per violare) l’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto e rispetto al quale sono ovviamente recessivi i residui obblighi inerenti le modalità espressive estranee alle attività istituzionali di garanzia (a condizione, ovviamente, che non travalichino in atti penalmente rilevanti)”.