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Unicef sulla violenza contro le donne

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Unicef sulla violenza contro le donne

NEW YORK – La violenza contro donne e bambine è una delle forme di disuguaglianza più estreme: lo ha ricordato il Direttore generale dell’UNICEF, in occasione della 51ª Sessione della Commissione ONU sulla condizione delle donne. “Nonostante i progressi conseguiti, continuiamo a vivere in un mondo dove milioni di bambine restano escluse dalla scuola, coinvolte in forme di sfruttamento del loro lavoro, vittime del traffico di minori, vulnerabili all’HIV/AIDS ed esposte a violenze sessuali”, ha sottolineato Ann M. Veneman, intervenendo alla riunione ONU che si conclude l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne.

Sottolineando il legame intrinseco tra la discriminazione contro donne e bambine e la violenza, il Direttore generale dell’UNICEF ha posto l’attenzione su fenomeni quali le violenze sessuali commesse durante i conflitti armati, il traffico d’esseri umani, i delitti d’onore, i crimini legati alla dote, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili.

“In troppi paesi e regioni del mondo”, ha proseguito Ann M. Veneman, “la grave condizione delle bambine è ignorata o negata: una situazione che lascia le bambine a soffrire in silenzio, provocando un impatto devastante sull’equilibrio delle loro famiglie e comunità”. Eppure, come sottolineato anche dal Rapporto UNICEF 2007, gli interventi che meglio funzionano per i bambini sono quelli portati avanti, fatti propri, dalle madri; e che l’”empowerment” delle donne è un pre-requisito per la solidità, la sostenibilità e la durata dei progressi nella condizione infantile. Infatti l’uguaglianza di genere ha il doppio vantaggio di produrre benefici sia per le donne che per i bambini, ma ha anche una funzione cardine per la salute e lo sviluppo di famiglie, comunità e nazioni.

Scheda – CONDIZIONE DELLE DONNE E BENESSERE DELL’INFANZIA:
I DATI UNICEF

Parlando di disuguaglianze, e dei loro effetti sui bambini, occorre ricordare anche la terribile incidenza della mortalità materna, o da parto: ogni minuto una donna muore a causa di complicanze insorte durante il parto – oltre 500.000 gestanti morte ogni anno. Il 99% dei casi di mortalità materna avviene nei paesi in via di sviluppo, oltre il 90% concentrati in Africa e Asia. E in particolare, nel 2000 1/4 di tutti i casi di mortalità materna si sono registrati in India. Nell’Africa sub-sahariana una donna su 16 muore durante la gravidanza o il parto, una su 4.000 nei paesi industrializzati. E non si tratta solo di impedire queste morti assurde di giovani donne, largamente prevenibili con minimi investimenti nell’assistenza sanitaria. Una volta di più, c’è anche una ricaduta pesantissima sui bambini: i neonati orfani di madre corrono un rischio di morire da 3 a 10 volte superiore dei neonati la cui madre sopravvive al parto.

Il gap nell’istruzione è pesantissimo, e con gravi implicazioni non solo per le donne stesse ma per i loro figli e la loro comunità. A causa della discriminazione di genere, le bambine hanno minori probabilità di andare a scuola; nei paesi in via di sviluppo, quasi una bambina su 5 iscritte a scuola non completa gli studi. Più di 115 milioni di bambini non frequentano la scuola primaria: per ogni 100 bambini senza scuola, le bambine sono 115. I figli di madri non istruite hanno probabilità doppia di non andare a scuola; inoltre, il livello di istruzione femminile, rileva il rapporto, risulta correlato a migliori prospettive di sopravvivenza e sviluppo per i bambini. L’83% delle bambine che non vanno a scuola vive nell’Africa sub-sahariana, nell’Asia meridionale e in Asia orientale. Nell’Africa sub-sahariana il numero di bambine che non frequentano la scuola è salito da 20 milioni nel 1990 a oltre 24 milioni. A negare loro questo diritto sono le conseguenze della povertà, i pregiudizi e le pratiche discriminatorie, come i matrimoni precoci. Eppure, è dimostrato che una bambina che ha studiato tenderà a sposarsi più tardi, avrà meno figli e li crescerà più sani e istruiti; saprà proteggersi meglio dai rapporti sessuali indesiderati e dal contagio dell’AIDS. Assumerà un ruolo economico, politico e sociale più incisivo.

L’UNICEF ricorda che, sebbene vi siano stati dei segnali di miglioramento, in particolare l’abbandono della pratica da parte di diverse comunità del Senegal, la mutilazione dei genitali femminili viene ancora praticata, ogni anno, a danno di oltre 3 milioni di bambine (sono in totale oltre 130 milioni le donne finora sottoposte a questa pratica tradizionale). Una pratica che non solo comporta gravi rischi sanitari, ma è una violazione sostanziale dei diritti umani.

Anche la pandemia dell’HIV-AIDS colpisce in modo differente le donne. In gran parte dell’Africa e dei Caraibi le ragazze corrono un rischio 6 volte maggiore di contrarre l’HIV rispetto ai coetanei maschi; in 24 paesi dell’Africa sub-sahariana 2/3 o più delle giovani donne non conoscono le modalità di trasmissione dell’HIV. Le donne sono il 59% (13,2 milioni) degli adulti con HIV nell’Africa a sud del Sahara. In media vi sono 3 donne sieropositive all’HIV ogni 2 uomini. Tra i giovani tra 15 e 24 anni, 3 ragazze per ogni ragazzo. E i 3/4 di tutte le donne e adolescenti dai 15 anni in su colpite da HIV vivono nell’Africa sub-sahariana.

L’influenza delle donne nelle decisioni della vita familiare, economica e pubblica risulta determinante per la vita, il benessere e lo sviluppo dei bambini, ricorda l’UNICEF – ma nonostante i progressi nella condizione delle donne nel corso degli ultimi decenni, sulla vita di milioni di donne e bambine continuano a gravare discriminazione, mancanza di potere e povertà. Le donne non sempre hanno pari voce nelle decisioni familiari fondamentali, che possono avere conseguenze negative per i bambini. In appena 10 paesi in via di sviluppo, su 30 analizzati, il 50% o più delle donne partecipa alle decisioni familiari, incluse quelle riguardanti le principali spese per la famiglia, la propria salute e la possibilità di visitare amici o parenti fuori casa.

La possibilità per le donne di avere il controllo della loro stessa vita e di prendere le decisioni che riguardano la famiglia sono strettamente legate alla nutrizione, salute e istruzione del bambino. Nelle famiglie dove sono le donne ad assumere le decisioni fondamentali, la quota di risorse destinate ai bambini è di gran lunga maggiore rispetto a quelle in cui le donne hanno un ruolo meno incisivo. Uno studio condotto dall’International Food Policy Research Institute ha concluso che, se donne e uomini avessero un eguale influsso sulle decisioni familiari, in Asia meridionale l’incidenza dei bambini sottopeso con meno di 3 anni scenderebbe di oltre 13 punti percentuali, con 13,4 milioni di bambini malnutriti in meno nella regione; in Africa sub-sahariana 1,7 milioni di bambini in più risulterebbero adeguatamente nutriti.

Come il reddito gestito dalle donne può produrre benefici per i bambini, così la disparità di genere nel reddito può diminuire o limitare le risorse a disposizione per i diritti fondamentali dei bambini, quali l’assistenza sanitaria, un’alimentazione e un’istruzione adeguata. Le stime basate sulle differenze salariali e sulla partecipazione alla forza lavoro suggeriscono che il reddito delle donne sia, in Medio oriente e Nord Africa, circa il 30% di quello degli uomini; il 40% in America latina e Asia meridionale; il 50% nell’Africa sub-sahariana e circa il 60% in Europa centro-orientale, nella Comunità degli Stati Indipendenti, in Asia orientale e nei Paesi industrializzati.

Ma non è solo questione di economia e reddito: anche un maggiore coinvolgimento delle donne in politica può avere un notevole impatto positivo sulla condizione dei bambini. Prove sempre più ampie e articolate dimostrano che – sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo – le donne parlamentari sono particolarmente efficaci nella tutela dell’infanzia. Allo stesso modo, le amministrazioni locali con forte presenza di donne ottengono in genere, anche a parità di risorse, risultati marcatamente migliori nel campo sociale e in particolare nella tutela e promozione del benessere dell’infanzia. Ma, a luglio 2006, le donne parlamentari erano meno del 17% dei parlamentari del mondo…