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Sottovalutato il rischio insufficienza renale

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ROMA – In Italia sono circa quattro milioni le persone che presentano segni di laboratorio indicativi di danno renale o di insufficienza renale più o meno grave. Un problema in crescita esponenziale che colpisce circa l’8 per cento della popolazione mondiale e che ha spinto alcuni ricercatori di Reggio Calabria a disegnare uno studio multicentrico, denominato MAURO (Multipli interventi e AUdit nelle malattie Renali per Ottimizzarne il controllo), con il coinvolgimento della maggior parte dei centri di nefrologia calabresi e di alcuni centri della Sicilia orientale e della Puglia. Circa 600 i pazienti ‘arruolati’, che resteranno per 3 anni sotto il controllo dei ricercatori impegnati in prima linea a livello internazionale nella prevenzione e nella cura di questa diffusa malattia. Ricercatori che hanno contribuito a portare il nostro Paese al primo posto in Europa nella ricerca sull’insufficienza renale. E l’eccellenza, una volta tanto, ha premiato il Sud: “Una recente ricognizione su scala europea, valutata attraverso la quantificazione degli impact factor”, spiega Carmine Zoccali dell’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Reggio Calabria (Ibim-Cnr), “ha collocato il gruppo di Reggio Calabria ai vertici fra i centri specialistici di eccellenza in nefrologia: secondo in Italia dopo l’istituto Mario Negri di Bergamo e terzo in Europa”.

L’interesse scientifico per il problema è in progressivo aumento ma le risorse investite rispetto alla sua rilevanza sono ancora scarse. “Nonostante le cifre allarmati circa l’epidemia di gradi lievi e moderati di insufficienza renale”, prosegue Zoccali, “questa malattia è ancora considerata come una patologia rara il cui unico rischio è la remota possibilità di evoluzione verso la fase terminale di malattia, quella che richiede la dialisi o il trapianto. Le gravi conseguenze dell’insufficienza renale sul sistema cardiovascolare e l’alto rischio della disfunzione renale nei pazienti con malattie coronariche e nell’insufficienza cardiaca, invece, sono poco considerate e ancora scarsamente studiate”.

Il Gruppo di ricerca Ibim-Cnr, che è associato all’unità operativa di nefrologia, dialisi e trapianto di rene degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, negli ultimi dieci anni è stato tra i gruppi leader a livello internazionale nello studio di questi fattori. Uno dei maggiori contributi è stato quello di aver mostrato la rilevanza clinica per il danno cardiovascolare di una sostanza (dimetilargina asimmetrica o Adma) che si accumula nel sangue in proporzione alla perdita di funzione renale. I ricercatori di Reggio Calabria sono stati i primi a dimostrare che la mortalità dei pazienti con malattie renali di grado moderato o severo e dei pazienti in dialisi è proporzionale alla concentrazione di questa sostanza. “Questa scoperta”, sottolinea il ricercatore del Cnr “ha attratto l’attenzione di molti gruppi di ricerca Europei e Nord Americani e attualmente in Gran Bretagna e negli USA si stanno sviluppando farmaci che possano abbassare la quantità di questa sostanza nel sangue”.

Queste ricerche possono avere implicazioni ben al di là dell’insufficienza renale: studi più recenti hanno mostrato che il sistema biochimico che sintetizza e degrada l’Adma è presente nel tessuto adiposo. Anche al di là dell’Adma, tutto questo può essere importante anche per i legami diretti e indiretti che questo sistema ha con la sensibilità all’insulina e con il diabete.

Un altro studio dei ricercatori del Cnr riguarda i rapporti tra tiroide e infiammazione nelle malattie renali. La forma attiva dell’ormone tiroideo, la tri-iodotironina, nei malati di rene è più bassa a causa dello stato infiammatorio dell’insufficienza renale e costituisce uno dei principali fattori dell’alta mortalità di questi pazienti. Altri studi già pubblicati o in corso del gruppo di Reggio Calabria hanno focalizzato l’attenzione sui disturbi del respiro durante il sonno nei pazienti in dialisi (apnea notturna) e sulla loro reversibilità dopo trapianto renale e su altri fattori di rischio vascolare ancora poco studiati come l’urotensina e il VEGF (fattore di crescita vascolare endoteliale) e altri.