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Crisi profonda per il comparto ‘Legno Arredo’

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Crisi profonda per il comparto ‘Legno Arredo’

AREZZO – I venti non favorevoli tirano già da un bel po' di tempo, ma adesso è crisi profonda per il comparto “legno arredo” nell'Alta Valle del Tevere tosco-umbra. A sollevare il problema sono i presidenti provinciali aretino e perugino della categoria di Confartigianato Imprese, Domenico Gambacci e Giovanni Pieracci, i quali sottolineano come siano diverse le aziende che rischiano di chiudere seriamente i battenti entro la fine dell'anno e il momento “no” si estende tanto alle aziende piccole quanto a quelle più strutturate. E' di questi giorni la notizia che due mobilifici con sede a Città di Castello avvieranno le procedure di cassa integrazione per i propri dipendenti nel mese di settembre; stesso discorso, o quasi, sul versante toscano, dove già tre realtà hanno annunciato che il 31 dicembre cesseranno addirittura l'attività. Preminente il ruolo ricoperto dal “legno arredo” nel comprensorio, tanto che l'Alta Valle del Tevere liberata dal confine di regione diviene per produzione e volume di affari il terzo distretto d'Italia dopo la Brianza e la Marca Trevigiana, occupando in totale circa 2000 maestranze; questo dato conferma l'importanza rivestita dal comparto e la sua forte ricaduta economica nel territorio. I due esponenti di Confartigianato hanno allora l'intenzione di chiedere un tavolo di lavoro che si riunisca al rientro dalle ferie (quindi ai primi di settembre) e che sia composto dai rappresentanti di tutti i Comuni dell'ambito, invitati a fare qualcosa per tentare di bloccare un processo che rischia di avere effetti devastanti. “La politica – sostengono Gambacci e Pieracci – non si può nascondere, ma deve (anzi!) esercitare un ruolo attivo nella soluzione di un problema che investe imprese a carattere prevalentemente familiare, la cui alta professionalità è il frutto di un bagaglio di esperienze che si tramandano di generazione in generazione, anche se non mancano eccellenze di livello nazionale e internazionale. La perdita conseguente sarebbe quindi non soltanto puramente economica, ma anche culturale e legata alla tradizione del mobile classico, cioè alla “nicchia” di settore che in questo momento risente maggiormente della contrazione in atto. La ricetta per uscire ci sarebbe: investimenti piuttosto sostanziosi nello sviluppo e nella ricerca delle tecnologie. Gli artigiani conoscono questa via di uscita, ma non hanno la forza per percorrerla: del resto, i dati emersi e illustrati nel recente convegno nazionale organizzato da Confartigianato sono indice di una forte preoccupazione anche per il medio termine, trattandosi di un comparto classificato fra i cosiddetti “segmenti maturi” dell'economia”.