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Landucci CNA: ‘investire in tecnologie, formazione e marketing’

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Landucci CNA: ‘investire in tecnologie, formazione e marketing’

AREZZO – L’artigianato alimentare conta in Toscana poco più di 4.200 piccole imprese, per lo più a conduzione familiare, con concentrazione di panettieri, pasticceri e produttori di paste alimentari.
“Le nostre – spiega Alfredo Landucci, Presidente CNA Alimentare Arezzo – sono microimprese che, nonostante le difficoltà congiunturali evidenziate dai dati camerali resi noti di recente, sono riuscite a sopravvivere nel mercato, ma sempre con il rischio di restare in una posizione di marginalità”.
Si tratta quasi sempre di imprese familiari in cui l’artigiano fa tutto: un’imprenditoria giovane, tra i 31-45 anni, con un medio livello di istruzione ma con una grande esperienza lavorativa.
“Nelle imprese artigiane – è il commento di Landucci – sta maturando la consapevolezza della necessità del passaggio dalla microimpresa alle aziende di media e di maggiore dimensione, ma ci sono ancora azioni limitate sul piano formativo, organizzativo, interorganizzativo e di marketing, che frenano una visione più ampia delle relazioni con il mercato”.
Perché queste aziende non crescono? “Il motivo – spiega Landucci – sta nel fatto che la crescita richiede grossi investimenti che non tutti sono in grado di sostenere, oltre ad una conoscenza in materia di tecnologie alimentari (chimica, sanitaria, biologica) alquanto complessa e tale da paragonare una laurea in queste discipline ad una facoltà di ingegneria. Ma qui da noi l’Università non presenta queste specializzazioni e l’offerta formativa è pressoché inesistente”.
E Landucci prosegue: “L’artigiano che intende acquistare macchinari e tecnologie avanzate, oltre alle ben note difficoltà di accesso al credito, il più delle volte non è in condizione di conoscere tutte le fasi del processo di produzione e trasformazione del prodotto: queste notizie gli sono fornite dal produttore del macchinario, ma ciò innesca un meccanismo che dà luogo ad un prodotto standardizzato e non si traduce in alcun valore aggiunto nel risultato finale”.
Ecco quindi l’importanza della formazione universitaria che può spiegare i processi, stimolare la ricerca, condurre alla formulazione di un prodotto nuovo, ecc.
L’altro nodo del settore è la vendita del prodotto. “E qui ritornano i problemi endemici delle difficoltà del settore alimentare nel mercato locale e le questioni legate alla filiera corta: come favorire la vendita diretta, avvicinare produttori e consumatori, contenere i prezzi al dettaglio, incentivare il consumo di prodotti locali sottolineando il forte legame con il territorio di origine”.
“Adesso – Landucci – il grosso business è legato all’energia ed alle fonti rinnovabili: il prodotto tipico di cui tanto si è parlato e su cui tanto si è investito, improvvisamente non tira più: ora è il momento in agricoltura di puntare su barbabietole, girasoli, ecc. perché le risorse sono dirette agli impieghi energetici alternativi. Sarebbe però il caso di fare una riflessione attenta e puntuale e valutare quanti soldi si sono spesi ad es. per la patata di Cetica, per il fagiolo zolfino, per gli investimenti in prodotti tipici che non hanno dato i frutti sperati. Uno spreco di risorse e di energie che rischiano di ripetersi con le colture bioenergetiche o biodiesel. Questo scenario – conclude il Presidente di CNA Alimentare – disorienta il produttore ed il consumatore e non fa che confermare la forza e la validità del prodotto tradizionale nostrano”.
Landucci conclude auspicando investimenti a sostegno della managerialità e della competitività delle imprese locali, attraverso un sistema integrato di servizi che vanno dalla formazione al credito, dall’innovazione tecnologia alla partnership con l’Università.