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Una politica su misura per il sistema moda in Valdarno

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Una politica su misura per il sistema moda in Valdarno

AREZZO (Valdarno) – “Lo scenario valdarnese ripropone, in primo piano, un'accentuata presenza della piccola e media impresa che opera nel settore tessile-abbigliamento-calzature, che ha conosciuto negli ultimi tempi mutamenti e trasformazioni che hanno profondamente inciso sul tessuto sociale e sul potenziale produttivo della vallata” Chi parla è Gianfranco Meucci, Presidente CNA Valdarno che aggiunge: “Siamo consapevoli del momento particolare che il Valdarno sta attraversando: siamo oggi di fronte purtroppo ad un periodo di crisi, con un deciso calo occupazionale, in parte attenuato, negli ultimi anni, dall'espansione di una sola azienda”.
Al forte processo di deindustrializzazione che ha colpito il Valdarno negli ultimi decenni, legato alle difficoltà di grandi complessi (Toscana Tabacchi, Ferriera del Valdarno, Polo Minerario), si sono aggiunti gli effetti della diffusa crisi delle piccole e medie imprese operanti nelle tradizionali lavorazioni della moda.
Secondo CNA risulta l'intero processo di deindustrializzazione ha bloccato ogni tendenza alla crescita dell'economia dell'area, scaricando effetti fortemente negativi sul mercato del lavoro dove si innalzano i tassi di disoccupazione e crescono le difficoltà ad occuparsi all'interno dell'area.
“Occorre a mio avviso puntare su due obiettivi – osserva Meucci – qualificazione della produzione e ricerca di nuovi sbocchi di vendita. Per arrivarci è necessario sviluppare un rapporto tra i vari attori locali: categorie produttive, lavoratori, enti locali, sistema camerale e bancario, pena un indebolimento irreversibile del comparto”.
E il Presidente CNA Valdarno aggiunge: “Personalmente credo che su questo comparto si giocheranno buona parte dei destini economici del Valdarno, dell'artigianato e della piccola impresa in modo particolare, per una serie di motivi, il primo dei quali è che le sole imprese artigiane rappresentano la maggioranza dell'intero settore: di esse circa il 70% lavora contoterzi”.
Dall'analisi dei dati, emerge infatti che su 1068 aziende del settore abbigliamento e pelle-cuoio-calzature attive nell'intera provincia, 407 sono concentrate nel Valdarno ed l’85% di esse sono contoterziste. Si tratta di imprese di piccole dimensioni, per le quali occorre costruire politiche di intervento e di sostegno mirate e studiate appositamente. Una vera e propria politica su misura che consenta a queste aziende di operare ed utilizzare incisivamente tutta una serie di strumenti oggi fondamentali: formazione, ricerca, promozione, internazionalizzazione.
“Dovremo poi costruire – continua Meucci – una politica tesa ad incentivare l'irrobustimento di questo sistema produttivo la cui debolezza è sempre più evidente, nonostante la presenza di aziende di grande qualità e capacità che si servono, per la realizzazione delle proprie linee produttive, di imprese contoterziste del Valdarno. Infine si pone la questione della "denominazione di origine" e della protezione delle nostre lavorazioni. Ritengo quest'ultimo un argomento fondamentale per le imprese del TAC, specie se inquadrato in una prospettiva di rilancio del settore. Nel settore dell'abbigliamento, così come in quello calzaturiero, la lavorazione viene sempre più spesso esportata all'estero, con la conseguente penalizzazione delle nostre aziende medio-piccole e con pesanti riflessi sull'occupazione”.
La specificità artigiana rappresenta quindi oggi una risorsa da valorizzare e difendere, anche perché costituisce un modello di produzione che meglio di altri può difendersi dai rischi della concorrenza dei processi di produzione complessi e di decentramento produttivo. Naturalmente per il principio della globalizzazione e del libero mercato, non è pensabile introdurre per legge delle barriere o norme protezioniste, ma è possibile lavorare sulla qualità e sul rispetto dell'indicazione del luogo di origine del prodotto. “Ciò significa – conclude il Presidente CNA Valdarno – anche adottare misure contro la vendita in Italia di prodotti fabbricati in Paesi esteri dove non c'è rispetto dei diritti umani e dei più elementari diritti sociali come lo sfruttamento del lavoro minorile. Da tali Paesi giungono merci a prezzi bassissimi con i quali le aziende italiane non potranno mai competere.