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A Sansepolcro la prima Messa dell’arcivescovo Fontana

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SANSEPOLCRO – Oggi domenica 27 settembre il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana, entrerà a Sansepolcro, la città che ha dato i natali a Piero e concluderà di fatto il suo “viaggio” di inizio del ministero episcopale nelle tre città che sono state sede vescovile. Prima Arezzo, poi Cortona e adesso Sansepolcro.

L’arcivescovo entrerà nella città della Valtiberina da Porta Romana, proprio come nel caso dell’ingresso del suo predecessore, Gualtiero Bassetti, che nel 1999 aveva scelto lo stesso itinerario per presentarsi alla vallata. L’appuntamento con Fontana è fissato per le 16.40. Ad accoglierlo ci sarà il sindaco di Sansepolcro, Franco Polcri, insieme alle autorità civili e militari.
Da qui partirà un corteo che sarà accompagnato dai giovani della Valtiberina e che giungerà fino a piazza Garibaldi dove, alle 17, l’arcivescovo sarà accolto dalla banda cittadina, dal gruppo musici della Società balestrieri di Sansepolcro e dagli sbandieratori. A seguire è previsto il saluto del primo cittadino, del presidente della Comunità montana e del nuovo vescovo.
Alle 18 la Concattedrale ospiterà la Messa solenne presieduta dall’arcivescovo con i sacerdoti della zona.

Omelia dell’Arcivescovo
Il fascino del Volto Santo, conosciuto per la sua straordinaria bellezza e venerato con radici di fede e di pietà fin dal Medioevo, si sposa in questa terra con la vivacità di una comunità ecclesiale che, ancor oggi, contribuisce al bene comune, con frutti di impegno e di fedeltà al Signore.
Questa Alta Valle del Tevere, le sue tradizioni cristiane, la cultura fiorentina che la distinse nei secoli fino alla formazione di gran parte del presbiterio sono un luogo santo per tutta la nostra Chiesa particolare che, per volontà del Papa, è oggi ad un tempo aretina, cortonese e biturgense.

1. Le diversità culturali e i legami con la Terra Santa
I Santi Arcano ed Egidio sono legati, nella memoria del popolo, all’identità di questo territorio, che ha accolto fin dall’antichità i pellegrini; ha saputo guardare fuori dalle nostre valli, gli occhi e il cuore rivolti a Gerusalemme e alla Terra del Signore.
Queste due note ci appartengono ancor oggi. Concepire la vita come un pellegrinaggio e modellare l’esistente su questa qualifica è una scelta che coinvolge la visione dell’uomo, i rapporti con gli altri e la concezione della storia. Viviamo in un’epoca segnata da trasformazioni. Gli stessi concetti di vicinanza e di lontananza, le appartenenze e le diversità si stanno facendo sempre più impercettibili. I processi culturali che distinguono il nostro mondo globalizzato e comunque segnato dalla velocità delle comunicazioni ci fanno confrontare, attraverso i media, con le diversità.
La pagina del Libro dei Numeri, che abbiamo ascoltato, ci arricchisce di una sapienza capace di farci sognare. L’accoglienza di antichi pellegrini è connessa con la fondazione stessa di questa città: ci fa riscoprire la fraternità possibile tra la gente, virtù raccomandata dall’Apostolo Paolo . E’ espressione di Dio Creatore che si è fatto una sola famiglia di tutti gli uomini e le donne del mondo. Nella nostra identità collettiva è irrinunciabile l’esperienza di Eldad e Medad che, pur non partecipando all’assemblea del popolo, parlarono nel nome del Dio di Israele, come talvolta anche oggi chi non ha ancora diritto di voto, non per questo ha meno parte con noi, giacché gli affidiamo i nostri anziani perché li badino, e i nostri bambini perché li crescano.
Il Vangelo di Marco ci interroga sul senso che hanno per noi le diversità. Vi è un sentire diffuso di diffidenza verso il non conosciuto, un rifiuto per il nuovo, una sorta di arroccamento sulla conservazione delle memorie, non importa quanto antiche o recenti esse siano. Proprio da questa terra dei Pellegrini Arcano ed Egidio i cristiani di oggi ripetono con rispetto per tutti che conta più l’appartenenza alla stessa umanità, che è la famiglia di Dio, che non le qualità date dai passaporti e dalle radici culturali di cui ciascuno è figlio.
“Chi sono i nostri?”, ci chiede il Vangelo. Marco, con l’artificio della citazione degli ipsissima verba Jesu, attribuisce un fortissimo valore all’insegnamento che viene dal Signore stesso. C’è da chiederci se l’accoglienza di chi è diverso da noi non sia ancor oggi una strada maestra per scacciare i demoni dell’odio e del rancore, dell’approfitto su chi è più debole e non è protetto dal gruppo sociale, di discriminazione e di sopraffazione. Volesse Iddio che ancor oggi “gli altri da noi” che vengono a vivere con noi fossero capaci di quei “miracoli” di cui parla l’Evangelo. Ancor oggi vi sono mali e demoni che l’accoglienza cristiana può sconfiggere, se saprà prendere le distanze dal pregiudizio e dalla tentazione di creare una società autoreferenziale, attenta più a difendere i propri privilegi, che a riconoscere la cristiana proposta di fratellanza e di accoglienza.
Non così fecero i padri in questo Borgo dove, fin da secoli remoti, il laicato si aggregò in quella confraternita di Misericordia che è ,nel nome stesso, una scelta di campo, un impegno a vivere quella nota distintiva di Dio e dei suoi figli, cioè praticare nelle opere la misericordia di Dio che è tale in quanto servizio gratuito fatto solo per amore di Dio e del prossimo.
Avviando il ministero in questa bellissima parte della diocesi il mio pensiero va al Santo Sepolcro da cui prendemmo il nome e la consonanza d’intenti. Vogliamo ripetere, fin da questo mio primo atto di culto, che tutto ciò che riguarda la Terra Santa ci coinvolge, non solo sotto l’aspetto della giustizia e della pace: è la terra dei figli di Abramo e del suo popolo con il quale ci sentiamo come fratelli minori , debitori alla grande tradizione di Israele del dono delle Scritture e delle Promesse. E’ la terra di Gesù. Il nostro pensiero va quest’oggi a Gerusalemme e alla Terra Santa dove, tra grandissime difficoltà, sopravvivono ancora i cristiani, spesso discendenti di quella prima comunità adunata dal Signore e affidata a Giacomo e agli Apostoli, ma oggi confinata in un’assurda povertà e limita di fatto persino nel suo sussistere. E’ anche la terra dei figli di Agar, che ugualmente hanno Abramo per padre. Anche ad essi vogliamo dire la nostra fraternità e l’affinità che ci lega a loro, come a membri di una medesima famiglia che adora lo stesso unico e misericordioso Dio.
La possibilità che in questi tempi ci è data di vivere accanto ad ebrei e musulmani, anche in queste terre di Toscana, vuole essere un’occasione per afferire un contributo possibile alla pace in Terra Santa, perché Gerusalemme sia ancora la città della giustizia e della pace.
Se me ne date mandato, chiederò al Patriarca latino di Gerusalemme, mio antico compagno di studi e amico, di avviare un possibile gemellaggio fra quella comunità cristiana e questa Chiesa diocesana.

2. La questione educativa e il progetto di vita
Il Santo Padre Agostino, interpellato dalla grande trasformazione del suo tempo – il crollo della civiltà romana sotto la pressione barbarica – invita tutti a camminare verso la Città di Dio , la Gerusalemme del Cielo dove “giustizia e pace si baceranno” .
Avviando il ministero nella città dei Santi Pellegrini, vorrei ricordare a tutti con il Vescovo di Ippona che la vita è un pellegrinaggio. Questo mondo va vissuto come fa il viandante con la locanda che lo accoglie lungo il suo viaggio. Occorre gioire di tutto il bene possibile su questa terra e costruire la città dell’uomo, senza mai dimenticare la città di Dio. Nella “locanda” i giusti piaceri del vivere devono essere apprezzati; ma non va mai dimenticata la patria del Cielo, dove ci attendono gli affetti più cari e dove Dio raccoglierà tutti i suoi figli .
Con il Crisostomo vorrei ricordare a tutti che non potranno essere a Dio graditi lo splendore del nostro culto e le attenzioni esteriori, se non sapremo servirlo nei suoi poveri .
E’ oggi diffuso, come perfido veleno che paralizza i nostri giovani, un progetto di vita profondamente sbagliato: “Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine!”, ci ammonisce l’Apostolo .
Riteniamo che sia giusto offrire ai nostri ragazzi ogni bene materiale che siamo in grado di procurare per loro. Siamo invece in difficoltà a renderli capaci di lottare e di resistere alla mentalità pagana che li invade da ogni parte, nei costumi sociali, nelle abitudini di gruppo, nei comportamenti personali.
Anche il Supremo Mandatario della Repubblica, in questi giorni, ha ripetuto alla nazione che chi ha più responsabilità è tenuto a dare buon esempio . Lo sono i genitori nei confronti dei figli, lo sono gli educatori, gli uomini di cultura, le guide del popolo a vantaggio dei più giovani; lo siamo anche noi preti e tutta la comunità cristiana, a cui compete il servizio dell’educazione, come già ci insegna il Nuovo Testamento nella lista dei ministeri praticati nella Chiesa delle origini .
I ragazzi hanno bisogno di guida, se non vogliamo disperdere tutto il nostro patrimonio ideale, che oggi per noi è anche l’identità collettiva di questa Valtiberina che nei secoli seppe animare opere e servizi di carità, coinvolgendo giovani e vecchi nell’esercizio concreto della pratica cristiana.

3. La misura richiesta per essere a servizio del Regno
“Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, perché siete di Cristo…” . La carità praticata produce frutti sostanziosi. Modifica la società in cui si vive. Diventa cultura. Determina l’identità. Siamo chiamati a riconoscere i frutti della carità nel patrimonio che gli antenati ci hanno lasciato. Questa terra non sarebbe come la conosciamo senza l’accoglienza per gli anziani, senza gli oratori per i piccoli, senza il florilegio di iniziative di cultura e di vita che la Chiesa, cioè tutti noi insieme, ha animato nei secoli.
Saremo buoni eredi di questa storia se sapremo rilanciare al futuro, cioè dentro la generazione nuova, il tesoro che va sempre più scoperto e valorizzato.
Il Vangelo ci insegna che il tesoro è bello, come una perla preziosa di raro valore che un mercante va in giro per il mondo cercando di acquistarla. Ai nostri ragazzi bisogna far scoprire che l’esperienza cristiana è innanzitutto bella, cioè capace di soddisfare le loro aspirazioni, adeguata ai loro sogni. “Il Regno dei Cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” . Noi educatori troppe volte non siamo capaci di far capire che abbiamo scelto la parte migliore. La vocazione cristiana, in tutte le sue forme, è quel tesoro per il quale vale la pena di vendere tutto, anche quello che ti pare allettevole e difficilmente rinunziabile: è bello insegnare ai figli a riconoscere il tesoro e a procurarselo. “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo un mola da asino e lo buttassero in mare” .
Siamo chiamati a riconoscere l’esperienza di Cristo come un valore totalizzante. Il Volto Santo di Sansepolcro, osannato dai storici dell’arte e venerato in questa Concattedrale, è innanzitutto un messaggio da decodificare. L’ignoto artista seppe fissare nel legno la pietà di un popolo: la sua fede. Seppe mettere insieme il bello con la storia dell’uomo. La sofferenza di Cristo in croce e la sua vittoria. Gesù Signore appeso nudo sulla croce fu rivestito dalla potenza di Dio di abiti regali e ciò che la folla idiota aveva fatto oggetto di scherno divenne nella fede degli avi la forza che vince il male e il riscatto che offriamo ai nostri ragazzi perché contemplando capiscano, servendo diventino liberi e amando divengano forti.