Home Cultura e Eventi Cultura Conclusa la marcia della pace a Gerusalemme

Conclusa la marcia della pace a Gerusalemme

0
Conclusa la marcia della pace a Gerusalemme

AREZZO – Si è conclusa la marcia della pace Perugia-Assisi svoltasi quest’anno a Gerusalemme con la partecipazione di 400 italiani: semplici cittadini, giovani, studenti e insegnanti, sportivi e artisti, giornalisti, amministratori locali e rappresentanti di associazioni. Per il Comune di Arezzo vi hanno partecipato i consiglieri comunali Marco Paolucci e Marco Tulli ma della delegazione aretina facevano parte anche la consigliere regionale Bruna Giovannini e il consigliere provinciale Michele Del Bolgia. “Gli organizzatori della marcia della pace – ha subito puntualizzato Marco Paolucci – hanno compiuto un salto di qualità nel portare un’autentica carovana in Israele e nei territori dell’Autorità Nazionale Palestinese, luoghi non facili com’è possibile immaginare, se non altro dal punto di vista logistico. Dal Pdl ai partiti di sinistra, tutte le forze politiche erano presenti con loro rappresentanti, un’esperienza che non è stata di svago ma un viaggio impegnativo fisicamente e psicologicamente. Come dimostra l’elenco di personalità, soggetti e siti incontrati e visitati: la rete degli enti locali palestinesi, l’omologa rete israeliana, l’associazione congiunta delle vittime israelo-palestinesi, il patriarca cristiano di Gerusalemme, il prete cristiano di Gaza, una delle esperienze più toccanti, campi profughi, villaggi in procinto di essere cancellati, i coloni, il muro divisorio, di certo la cosa d’impatto visivo maggiore. Un muro che s’insinua in Cisgiordania, serpeggiando nel territorio, a rendere ancora più arduo ogni spostamento, collegamento, contatto umano. Un rammarico mi sento di esprimere: sono 60 anni che la cooperazione internazionale, gli Stati e la diplomazia investono risorse in Palestina. Dopo questo viaggio ho provato la sensazione che siano stati 60 anni mal impiegati”.
Michele Del Bolgia è sceso ancor più nei particolari su due aspetti specifici: “Gerusalemme è una città bellissima che sembra quasi voler celare una realtà tremenda come quella del campo profughi, costruito per 3.000 persone e abitato attualmente da 18.000. Cancelli, filo spinato, è difficile fare transitare un’ambulanza, i rifiuti non vengono smaltiti e sono bruciati con conseguenze sull’igiene e la salute pubblica immaginabili, case ammassate dove vivono famiglie promiscue in spazi angusti. E ancora: palestinesi che hanno visto a causa del muro separata la propria abitazione dal terreno di proprietà dove coltivavano da sempre ortaggi e piante. Adesso per raggiungere la terra devono passare attraverso corridoi e cancelli aperti dai soldati israeliani a discrezione e guai a dimenticarsi del raccolto al termine della giornata una volta intrapreso il ritorno a casa. Si può essere costretti a corse frenetiche per non vedersi chiuso l’accesso in faccia”.
“Qual è il senso della partecipazione di un Comune come Arezzo a un’iniziativa del genere – si è chiesto retoricamente Marco Tulli. La migliore risposta ci è stata data dalla gente del luogo. Testimoniate ad alta voce al vostro ritorno ai paesi di provenienza. E noi testimoniamo che Israele sta occupando zone della Cisgiordania adducendo motivazioni di comodo, come il volere creare aree archeologiche o parchi nazionali salvo modificare poi la destinazione delle stesse in insediamenti per coloni. Ciò che rimane della Palestina storica è così una porzione non solo piccola ma soprattutto arida. Testimoniamo del messaggio all’ingresso di un villaggio palestinese: non vogliamo turisti dove 1.500 persone stanno perdendo la casa. Testimoniamo la necessità di salvaguardare il diritto internazionale, di non finanziare le multinazionali che fanno affari nei territori occupati, la necessità di sostenere la società civile israeliana schierata contro il muro e l’occupazione, il rischio di uno scontro interconfessionale laddove sta aumentando il fondamentalismo e la sinistra laica palestinese sta per essere definitivamente annientata”.
“Time for responsabilità – ha concluso Bruna Giovannini – era il logo della missione e più indovinato di così non poteva essere, nel momento in cui si infrangono le prospettive di uno Stato palestinese e si violano quotidianamente giustizia e diritti umani. Cito il caso degli operai palestinesi che lavorano in Israele e devono presentarsi ai check-point alle 3 e mezza del mattino per poter arrivare in tempo nelle fabbriche. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica nazionale a queste cose, dirle ai giovani, costruire con loro una speranza per il futuro. I palestinesi, d’altronde, confidano molto nell’Europa, chiedono che usi la sua autorevolezza dinanzi a Israele spingendolo ad affrontare i suoi impegni verso il popolo di Palestina. In merito, infine, alla soluzione paventata fin da Oslo, due popoli due Stati, ho potuto scoprire che i palestinesi sono perfino disponibili a vivere in un unico Stato purché questo riconosca l’inviolabilità dei loro diritti fondamentali”.