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Dopo 17 anni la vedova Borsellino rompe il silenzio

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Roma – Dopo 17 anni di silenzio, in esclusiva per 'La Storia Siamo Noi', parla Agnese Borsellino, la moglie del magistrato ucciso dalla mafia, che ha deciso di infrangere la regola del silenzio che si era data per ricordare chi ha dato la vita per suo marito: la scorta, 'gli angeli di Paolo Borsellino': "Per me erano persone, come per mio marito, che facevano parte della nostra famiglia e vivevano quasi in simbiosi con noi, condividevamo le loro ansie, i loro progetti. Un rapporto oltre che di umanità, di amicizia e di reciproca comprensione e rispetto".

"Mio marito non credeva al 100% che la scorta lo potesse salvare da un attentato – spiega la vedova del magistrato, nella puntata '57 giorni a Palermo La scorta di Borsellino' di Francesca Fagnani, in onda staserai alle 23.30 su RaiDue – Non perché dubitava della loro attenzione o professionalità, ma quando avrebbero deciso di ucciderlo lo avrebbero fatto, come del resto è stato, con tecniche ultramoderne. Infatti mi diceva, quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro".

Agnese Borsellino racconta il rapporto che suo marito aveva con Claudio Traina, 27 anni, Agostino Catalano, 43 anni, Emanuela Loi, 24 anni, Vincenzo Fabio Li Muli, 22 anni, Eddie Walter Cosina, 31 anni, gli agenti di scorta, uccisi insieme al magistrato nella strage di via D'Amelio, a Palermo, il 19 luglio 1992. "Per evitare che ciò accadesse – continua Agnese Borsellino – spesso e alle stesse ore usciva da solo per comprare il giornale, le sigarette, quasi a mandare un messaggio per i suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo per la strada e non quando si trovava con i suoi angeli custodi. Mio marito non si poteva rifiutare di farsi proteggere o di farsi accompagnare, le sue capacità finivano qui, non poteva fare altro per salvarli".

Sull'agenda rossa di Borsellino, ''uno degli aspetti inquietanti di questa vicenda'', si è soffermato oggi il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, intervenuto a Palermo alla commemorazione del trentesimo anniversario dell'uccisione di Boris Giuliano, il capo della Squadra Mobile di Palermo vittima di Cosa Nostra.

"Il procuratore di Caltanissetta, di Palermo ma anche il procuratore nazionale antimafia sono persone che hanno una straordinaria professionalità – ha aggiunto – le istituzioni sono al loro fianco, le forze di polizia sono oggi certamente più attrezzate che non un tempo lontano, magari durante il periodo degli anni bui degli anni Settanta quando gli omicidi erano quotidiani e le azioni di contrasto si dovevano attribuire a un manipolo di uomini coraggiosi che lottavano senza risorse ma con grande volontà".

Commentando le parole di Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, secondo cui si "è aperto uno squarcio dopo 17 anni", Manganelli ha concluso: "Credo di potere condividere l'espressione utilizzata dal procuratore aggiunto".

Articlolo scritto da: Adnkronos/Ign