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Bastanzetti tra passato e futuro: il libro di Tiziana Nocentini

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Bastanzetti tra passato e futuro: il libro di Tiziana Nocentini

AREZZO – “La Bastanzetti e l’industria aretina tra Ottocento e Novecento” è il titolo del libro scritto da Tiziana Nocentini e pubblicato nella collana del Comune di Arezzo “idee soggetti immagini”. E’ dedicato alla storica fonderia di via Leone Leoni in procinto di diventare, sulla base di un progetto di Comune e Coingas, Casa dell’Energia. Il volume verrà presentato giovedì 25 febbraio alle 17 nella sala Sant’Ignazio di via Carducci dove è in esposizione fino al 28 febbraio la mostra che racconta la storia della Bastanzetti e proietta il visitatore verso la futura destinazione resa possibile anche grazie ai fondi del PIUSS.
Oltre all’autrice, alla presentazione del libro, iniziativa di Comune, Provincia di Arezzo e Istituto storico aretino della Resistenza e dell’età contemporanea, parteciperanno il Sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani, il Presidente della Provincia Roberto Vasai, il Presidente dell’Istituto storico sopra citato Camillo Brezzi mentre sono altresì previsti gli intereventi di Giovanni Tricca, Presidente della Camera di Commercio e Massimiliano Musmeci, Direttore di Confindustria Arezzo.

Il volume “La Bastanzetti e l’industria aretina tra Ottocento e Novecento” analizza le importanti trasformazioni che avvennero tra la fine dell’800 e l’età giolittiana. “E’in questi anni – ricorda Tiziana Nocentini – che ad Arezzo si passa da una realtà prettamente agricola al primo nucleo di industrie, termine poco applicabile al periodo storico preso in esame, infatti è più appropriato parlare di opifici ed officine. In questo periodo nel territorio aretino si sviluppano vie di comunicazione, strade e ferrovie, in Valdarno, Casentino e Valtiberina prende avvio il processo di industrializzazione e nascono le prime “centrali” per la produzione di energia elettrica.
La famiglia Bastanzetti, con a capo i fratelli Remigio e Donato, industriali di Udine, approda ad Arezzo nel 1889 quando, dopo un incontro in treno con l’allora presidente della Camera di Commercio Carlo Signorini. Così decidono di rilevare le officine Bertilacchi e Gaggioli che sorgevano nel vecchio baluardo di Porta Buia.
Per undici anni i Bastanzetti continuano la produzione sia ad Udine che ad Arezzo quando, nel 1900, decidono di trasferire tutte le loro attività nel capoluogo toscano. Le officine Bastanzetti, in questo periodo, subiranno innovazioni particolari sia a livello tecnico che produttivo. Le produzioni della Bastanzetti giungono in tutte le parti del mondo, a San Paolo del Brasile, nella colonia di Eritrea, in Svizzera, in Russia e Danimarca. Tra i primi anni del Novecento e il secondo conflitto mondiale all’interno dello stabilimento aretino le lavorazioni si specializzeranno ancora di più introducendo nuovi forni e macchinari. Importanti sono le commissioni statali che giunsero dal Governo durante la Grande Guerra. Anche la Bastanzetti, come la Sacfem, fu dichiarato stabilimento “ausiliare” e al suo interno vennero prodotti i proiettili in ghisa “shrapnel”. La storia delle officine si è contraddistinta da altri stabilimenti della provincia per la totale assenza di lotte sociali. In alcuni documenti si accenna all’occupazione della fonderia da parte delle maestranze nel 1920, ma non sono state reperite carte del processo. La seconda Guerra Mondiale, per la provincia di Arezzo, non fu devastante solo per il numero di vittime e di stragi ma anche per i danni subiti dagli stabilimenti industriali. Dal conflitto la Bastanzetti ne uscì distrutta: ben tre i bombardamenti aerei che subì. L’intenzione di Dyalma era quella di riprendere immediatamente la produzione ma, in merito alla ricostruzione dello stabilimento, nacque una disputa con l’Amministrazione Comunale di Arezzo che durò anni: trovare una nuova sistemazione fuori la cinta muraria o l’ampliamento della stessa dovendo però fare i conti con il valore storico della cinta muraria su cui si appoggiavano le fonderie che durò fino agli anni Ottanta in cui fu dichiarato il fallimento. Dopo anni di totale abbandono si è pensato di recuperare l’unico edificio di archeologia industriale rimasto ad Arezzo entrando in un’ottica di riqualificazione e potenziamento di un importante pezzo di storia della nostra città”