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Il teatro non va in ferie

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AREZZO – Nell’estate aretina il teatro non va in ferie. L’assessorato alla cultura del Comune di Arezzo organizza tre spettacoli che vanno a comporre una mini-stagione di prosa articolata, parafrasando Shakespeare, in altrettante… notti di mezza estate totalmente gratuite. Direzione artistica di Andrea Biagiotti.
Si comincia martedì 27 luglio nel cortile di palazzo comunale alle 21,15 con “I Menecmi alla terza”, di Samuele Boncompagni, con Samuele Boncompagni, William Catania e Riccardo Valeriani. Uno spettacolo di Noidellescarpediverse e Officine della Cultura. Il 12 agosto sempre alle 21,15 trasferimento al campus universitario per “Rosa Lullaby, racconto dai Tetti Rossi”, di Gianni Micheli, regia Francesca Barbagli, con Andrea Biagiotti, Massimo Ferri, Luca Baldini, Massimiliano Dragoni, Gianni Micheli e Paolo Benvegnù. Si torna poi a palazzo comunale il 24 agosto, solito orario, per assistere a “Lu santo jullare Francesco”, di Dario Fo, con Mario Pirovano, produzione Teatro Mancinelli di Orvieto.
“Una delle novità positive del Play appena concluso – ha dichiarato l'assessore alla cultura del Comune di Arezzo Camillo Brezzi – è stato la presenza di un cartellone teatrale di grande qualità grazie a Simone Cristicchi, che ha dato prova di talento anche in una veste diversa da quella di cantante, a Massimo Shuster, un habitué oramai del teatro Pietro Aretino, e alla sensibilità del 'Cantico dei Cantici' di Fernando Maraghini, con Alessandra Bedino. Così, i tre spettacoli che abbiamo programmato si pongono in ideale continuità con gli appuntamenti del Play. E allora citiamo questo trittico di spettacoli che partono dal genere comico, passano per l'esperienza dell’ospedale psichiatrico che nella nostra città è davvero carica di significati e terminano con l'incursione nel teatro d'autore con la recitazione di colui che è considerato l'erede di Dario Fo, ovvero Mario Pirovano”.
Riccardo Valeriani, “metà” del duo Noidellescarpediverse: “si può realizzare un classico di Plauto come i Menecmi con soli tre attori che del genere comico hanno fatto la loro specializzazione? Il testo è riscritto cercando da una parte di restituire alcuni giochi di parole persi con certe traduzioni troppo edulcorate, dall’altra montando e smontando la macchina comica originale di Plauto per donarle una fresca modernità. La realizzazione recupera il piacere del gioco teatrale svelato, in cui il pubblico assiste a ciò che accade dentro e fuori scena”.
Gianni Micheli, autore e raccoglitore di testimonianze sul manicomio, ha parlato di “Rosa Lullaby”: “è un viaggio, un canto, poesia e memoria di un uomo che intende ridare un nome e un volto a chi per troppo tempo, quasi per una vita intera, è rimasto senza una storia da raccontare. Lo spettacolo nasce in collaborazione con il Centro promozione per la salute ‘Franco Basaglia’ e rientra nel progetto per la costituzione di un archivio della memoria orale dell’ospedale neuropsichiatrico aretino. Progetto che adesso è anche tradotto in un libro che è possibile richiedere proprio al centro Basaglia. La storia di 'Rosa Lullaby' è quella di Aldo che a 45 anni diventa padre. È dunque un uomo ‘normale’ con una vita ‘normale’ ma con un passato e una storia che normali non sono: è infatti ‘figlio del manicomio’, nato da due pazienti dell’ospedale psichiatrico di Arezzo di cui non ha mai voluto sapere nulla”.
Andrea Biagiotti si è soffermato sull'ultimo spettacolo: “Mario Pirovano porta sulle scene il tema della pace e della guerra riproponendo l’opera di Dario Fo, in particolare la famosa ‘concione’ del 1222 di Francesco ai bolognesi, ricostruita da Fo sulla base della tradizione popolare, delle cronache e delle testimonianze dirette: non una predica moralistica ma un’affabulazione sarcastica a mo’ dei giullari del tempo. Era lo stesso Francesco, tanto diverso in realtà dall’immagine agiografica che ci è stata per secoli trasmessa, a definirsi ‘jullare di Dio’. La guerra esplosa di nuovo tra Bologna e Imola aveva il suo solito seguito di crudeltà, stragi e distruzione. Francesco sceglie l’ironia e ricorre al particolare linguaggio dei giullari fatto di lombardo, siciliano, umbro e napoletano, inframmezzato da vocaboli latini, spagnoli e provenzali comprensibile ovunque”.