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Le Pmi vedono la fine della crisi

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ROMA – Le imprese italiane cominciano a intravedere primi spiragli positivi per tornare a risalire dopo la crisi, ma sono meno fiduciose nei confronti dell'ambiente istituzionale ed economico che le circonda. Il Nord Est si distingue, rispetto al contesto italiano, per un elevato clima di fiducia riguardo al superamento della crisi (con una differenza tra le prospettive di crescita e di flessione pari a +15), per l'esigenza di ricapitalizzare per restituire competitività alle aziende (secondo il 45,5%), per una maggiore propensione all'internazionalizzazione (per il 52,9%) e, infine, per una maggiore fiducia nei confronti delle istituzioni regionali rispetto al resto del Paese. È quanto emerge dal 9° rapporto nazionale sul sistema produttivo italiano realizzato dalla Fondazione Nord Est per UniCredit Corporate Investiment Banking – Il Sole 24 Ore.

A livello nordestino un clima d'incertezza diffuso avvolge ancora le prospettive degli imprenditori interpellati: oltre la metà (51,4%) ritiene che veri spiragli di ripresa si registreranno solo a partire dal 2012. Tuttavia, il clima economico complessivo appare mutato (anche rispetto allo scorso anno): la differenza tra le indicazioni di crescita e di flessione per il prossimo semestre torna, infatti, positiva per le singole imprese (+15) e nei confronti dei mercati internazionali (+23). Mentre rimane negativa per l'economia nazionale (-2,4), sebbene in una misura inferiore rispetto alla rilevazione del 2009, e in equilibrio per quella locale (0,0).

Secondo gli imprenditori interpellati, le possibilità di ripresa si potranno avere, almeno nel breve, solo guardando oltre confine, perché la domanda interna rimane ancora troppo fiacca per sostenere lo sviluppo. Sotto questo profilo, lo scenario generale si compone di due elementi fondamentali: l'emergere di nuovi modelli di consumo da cogliere tempestivamente (28,9%); e l'avviarsi di un percorso della ripresa che probabilmente avverrà senza un proporzionale coinvolgimento dell'occupazione (42,2%). Ciò richiederà una revisione complessiva del sistema di welfare, oltre a forme contrattuali più ancorate ai territori e alle aziende, più flessibili e articolate al fine di evitare la creazione di sacche di disoccupazione o di penalizzare le giovani generazioni.

Le imprese del Nord Est stanno affrontando questo contesto incerto complessivamente in modo dinamico. Le strategie emergono analizzando le azioni intraprese e gli orientamenti delle imprese, che evidenziano alcuni aspetti interessanti: la competizione internazionale premia gli orientamenti volti a fare sistema fra le imprese.

Torna l'idea che per presidiare e conquistare i mercati sia necessario individuare forme di collaborazione, dai consorzi, alle acquisizioni, alle molteplici forme di aggregazione e di partnership (65,5%). I processi di innovazione sono una strategia rilevante perseguita dalle imprese. Poco più della metà fra gli interpellati (50,5%) ha mantenuto gli investimenti nonostante la crisi e il 32,2% ne ha progettati di nuovi. Nell'ultimo triennio, sette imprese su dieci (69%) hanno fatto innovazioni di prodotto (di cui il 35,4% ha introdotto nuovi prodotti) e più della metà (57,1%) di processo, spesso tramite forme di cooperazione all'interno del sistema produttivo (il 56,2% le ha realizzate con il coinvolgimento dei propri fornitori, il 41,9% le ha concepite assieme ai propri clienti e il 48,1% con il contributo di consulenti esterni).
I processi di internazionalizzazione e l'apertura ai mercati esteri costituiscono sempre un punto di forza del sistema produttivo nordestino. Nonostante la fase recessiva, la quota di imprese che ha presidiato i nuovi mercati rimane rilevante (52,9%), e in linea con il dato delle scorso anno (53,3). Il Nord Est, come detto, si caratterizza come area maggiormente vocata (52,9%), anche rispetto al Nord Ovest (45,8%). Più che a delocalizzare, le imprese mirano sempre più a presidiare i mercati esteri (con servizi e prodotti personalizzati), tramite una rete di filiali commerciali (il 16,8%) e agenti all'estero (il 40,2%). Aumenta la quota di imprese che si proiettano sui mercati esteri da sole (58,4%, era il 56,1% nel 2009), la crisi spinge, infatti, le imprese a una sorta di mobilitazione individualistica, ma il problema dell'assenza di un sistema-paese in grado di aiutare le Pmi a proiettarsi su nuovi mercati rimane una questione ancora in larga misura irrisolta.I distretti industriali continuano a mantenere un ruolo fondamentale nel sistema produttivo, ma appaiono in profonda trasformazione. In virtù dei processi di internazionalizzazione e della costruzione di filiere produttive all'estero, il distretto che si ''dislarga'' muta il senso e l'intensità delle relazioni all'interno del sistema.

Muta inoltre la fiducia fra gli operatori economici e la conseguente cooperazione: il 52,5% degli imprenditori ritiene che nei prossimi anni diminuirà la fiducia fra le imprese, il 74,4% si attende una progressiva formalizzazione dei rapporti, l'80,0% intravede un peso crescente delle imprese leader nel processo decisionale. Quindi, la crisi trasformerà i sistemi di relazione rendendoli più selettivi, formalizzandoli e verticalizzandoli.

Si abbassa notevolmente il livello di fiducia delle imprese nei confronti di tutte le istituzioni: il Presidente della Repubblica rimane ai medesimi livelli del 2009 con il 57%. Nei confronti del Governo il livello di consenso scende al 29,8%, registrando una perdita di 20,4 punti percentuali (era il 50,2% nel 2009). Sale, invece, la fiducia nella Regione: da 52,7 a 56,7.

Un'ampia maggioranza valuta positivamente quanto fin qui realizzato per l'utilizzo degli ammortizzatori sociali (69,6%) e sul modo in cui è stata gestita la crisi (58,7%). Tuttavia, dal federalismo, alle infrastrutture, dalle liberalizzazioni, al fisco e agli studi di settore, dalla Pubblica Amministrazione fino al problema del credito alle imprese, assegnano valutazioni largamente negative e in deciso calo rispetto allo scorso anno.
A livello nazionale, le imprese possono essere suddivise in 4 macrocategorie in base alle strategie di fronte alla crisi. Le PMI velociste (il 20,3%). Imprese di dimensioni contenute (20-99 dipendenti), molto agili sul mercato, che in questi anni hanno fatto significativi investimenti in innovazioni di processo e di prodotto.
Sono fortemente proiettate sui mercati esteri, pur mantenendo una collocazione nei distretti industriali. Sono molto propense a realizzare forme di partnership con altre colleghe, ma assai poco disponibili a favorire un ingresso di capitali terzi. Sono collocate in prevalenza nel Nord Est e i loro titolari possiedono un titolo di studio molto elevato.

Le Grandi imprese passiste (il 18,5%). In questo caso, sono imprese di dimensioni più grandi (oltre i 50 dipendenti) che negli anni precedenti hanno fatto investimenti in innovazione in modo contenuto, relativamente proiettate sui mercati esteri, in prevalenza del settore industriale. Sono propense a realizzare forme di alleanze con altre imprese e ad aprirsi a capitali terzi. Sono per lo piu' collocate nel Centro e nel Mezzogiorno.

Le Micro imprese titubanti (il 36,6%). Hanno prevalentemente dimensioni contenute (10-19 dipendenti), collocate al di fuori di aree distrettuali e nel Mezzogiorno. Appartengono per lo più al settore dei servizi, con scarsa propensione all'innovazione, con un mercato totalmente domestico, poco disponibili ad aprirsi a capitali terzi, ma molto orientate a ricercare partnership per uscire dalle difficoltà in cui si trovano.

Le Micro imprese solitarie (il 24,6% fra gli interpellati). Anche in questo caso si tratta di imprese piccole (10-49 dipendenti), il cui mercato prevalente e' quello locale, collocate nei distretti produttivi. Non hanno realizzato recentemente processi di innovazione, né sono propense a forme di alleanze fra imprese, nè tanto meno ad accettare l'ingresso di capitali terzi. I titolari hanno in prevalenza un titolo di studio basso, sono collocate in prevalenza nel Nord Ovest e appartengono trasversalmente al settore industriale e del commercio.