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Salari, Cgil: potere d’acquisto giù di 5.500 euro in 10 anni

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Roma, 27 set. (Adnkronos/Labitalia) – I lavoratori dipendenti italiani hanno perso in dieci anni 5.453 euro di potere d'acquisto. Lo sostiene il V Rapporto Ires Cgil 2000-2010 sulla crisi dei salari presentato oggi a Roma.
Il raffronto della dinamica delle retribuzioni lorde e nette con l'inflazione effettiva, si legge nel rapporto, riporta all'attenzione l'irrisolta questione salariale che, dal 2000 al 2010, ha generato una perdita cumulata di potere d'acquisto dei salari lordi di fatto di 3.384 euro (solo nel 2002 e nel 2003 si sono persi oltre 6.000 euro) che, sommata alla mancata restituzione del fiscal drag, si traduce in 5.453 euro in meno per ogni lavoratore dipendente alla fine del decennio.
Secondo le stime dell'Ires Cgil, le retribuzioni contrattuali rispetto all'inflazione dell'1,7% nel 2010 crescono del 2,1%, le retribuzioni di fatto crescono del 2,1% e le retribuzioni nette dell'1,9% evidenziando così un aumento della pressione fiscale dello 0,2% in corso d'anno. A questo punto, si legge ancora nel rapporto, se consideriamo il biennio della crisi, contiamo un aumento della pressione fiscale dello 0,4%. L'incremento medio reale del biennio 2009-2010 risulta pertanto di appena 16,4 euro netti medi mensili. Se, inoltre, calcoliamo la crescita delle retribuzioni includendo anche l'abbattimento del reddito dovuto al massiccio ricorso alla cassa integrazione, l'aumento netto reale in busta paga, per tutti i lavoratori dipendenti, risulta solamente di 5,9 euro al mese.
La perdita cumulata calcolata sulle retribuzioni equivale, secondo il Rapporto Ires, a circa 44 miliardi di maggiori entrate complessivamente sottratte al potere d'acquisto dei salari. Questo spiega perché, nel decennio 2000-2010, le entrate da lavoro dipendente abbiano registrato una crescita reale (quindi al netto dell'inflazione) del 13,1% a fronte di una flessione reale di tutte le altre entrate del -7,1%.
In ogni caso, nel periodo 2000-2008, a parità di potere d'acquisto, le retribuzioni lorde italiane sono cresciute solo del 2,3% rispetto alla crescita reale delle retribuzioni lorde dei lavoratori inglesi del 17,40%, francesi e americani (4,5%). Questo, sottolinea il rapporto Ires, spiega anche come, in Italia, a parità di potere d'acquisto, nonostante una dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto più sostenuta, le retribuzioni e lo stesso costo del lavoro risultino all'ultimo posto della classifica Ocse 2008. Eppure, classificando i 30 Paesi Ocse attraverso l'indice di concentrazione del reddito l'Italia risulta il sesto paese più diseguale. Come ci ha insegnato la crisi, osserva l'Ires, a generare la bassa crescita a zero sviluppo contribuisce anche un'iniqua distribuzione del reddito. In Italia, la distanza tra reddito medio e reddito mediano (del 50% popolazione più povera) risulta invece essere cresciuta più di tutti gli altri paesi Ocse, passando negli ultimi 15 anni, dal 10,5% al 17,3% (prima della crisi). La previsione è che nel 2011 tale distanza raddoppierà, superando il 20%.
Già oggi, oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000, di cui oltre il 60% sono donne. Oltre 7 milioni (63%) di pensionati di vecchiaia o anzianità guadagna meno di mille euro netti mensili. Allora, secondo l'Ires, elaborando i microdati dell'indagine sulle forze lavoro Istat e prendendo come riferimento il salario netto medio mensile di 1.260 euro, emerge che: una lavoratrice guadagna il 12% in meno; un lavoratore di una piccola impresa (1-19 addetti) il 18,2% in meno; un lavoratore del Mezzogiorno il 20% in meno; un lavoratore immigrato (extra Ue) il 24,7%; un lavoratore a tempo determinato il 26,2%; un giovane lavoratore (15-34 anni) il 27% in meno e un lavoratore in collaborazione il 33,3% in meno.
In Italia, esiste "un grande problema che riguarda l'abbassamento dei salari anche legato al prelievo fiscale", rimarca il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Il leader della Cgil chiede "un intervento urgente che sgravi il lavoro dipendente" riequilibrando il peso del prelievo a favore dei salari. I salari, secondo Epifani, pagano al momento di più di altri redditi ed è necessaria una "svolta" che affronti il problema delle retribuzioni.

Per Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, ''non sono le aziende che devono produrre meglio e di più. Il problema è che i consumi interni sono troppo bassi". ''E' un circolo vizioso. Meno si consuma, più si sta a casa. Più si sta a casa, meno si consuma. Il rischio è una crisi profonda, una depressione. E' questo che bisogna evitare", dice a CNRmedia.

Articlolo scritto da: Adnkronos