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Il Giardino delle Idee ospita Raffaele Cantone

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Arezzo – Sabato 21 maggio 2011 con inizio alle ore 17.00 nella consueta cornice dell’Auditorium del Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Arezzo (via San Lorentino, 8 – INFO: 0575 409050) si conclude la programmazione invernale della rassegna letteraria “Il Giardino delle Idee” con uno straordinario incontro/confronto.

Ospite d’eccezione RAFFAELE CANTONE con il Suo “I Gattopardi. Uomini d’onore e colletti bianchi: la metamorfosi delle mafie nell’Italia di oggi” (Mondadori editore).

Diventato magistrato per amore del diritto, Raffaele Cantone ricopre la carica di Pubblico Ministero sino al 2007 presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.

Si occupa delle indagini sul clan camorristico dei Casalesi sino ad ottenere la condanna all'ergastolo dei più importanti capi di quel gruppo fra cui Francesco Schiavone, detto Sandokan, Augusto La Torre, Mario Esposito e numerosi altri: si occupa inoltre delle indagini sulle infiltrazioni dei clan casertani all'estero.

Dal 2003 è sottoposto a scorta e attualmente lavora presso l’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione.

Nel 2008 ha pubblicato per Mondadori “Solo per giustizia“, opera autobiografica in cui ripercorre la sua esperienza di magistrato di prima linea.

"Medici, architetti, commercialisti formano i ranghi delle nuove famiglie: sono i Gattopardi, le figure a cui le mafie si stanno affidando”.

Che le mafie abbiano connessioni e collusioni con parti del sistema economico, politico, giudiziario del Paese lo leggiamo da anni su libri e giornali; come pure ci sentiamo spesso ripetere, troppo genericamente, che la mafia è soprattutto una "cultura mafiosa".

Non sappiamo però quali sono concretamente i ruoli dei diversi protagonisti, chi davvero fa cosa.

Raffaele Cantone ce lo spiega in questa conversazione con Gianluca di Feo, mettendo in evidenza il nodo cruciale dell'intreccio, il circuito vizioso in cui le organizzazioni criminali, gli imprenditori, la società fanno "sistema" e traggono reciprocamente vantaggio gli uni dagli altri.

Cantone, grazie a uno straordinario lavoro di ricerca giudiziaria, ricostruisce infatti la rete di connessioni messa in piedi dalla criminalità organizzata in Italia negli ultimi vent'anni, racconta nei dettagli quali sono i business, i mercati, le regioni, gli appalti, i clan e gli enti coinvolti nel circuito e qual è il ruolo svolto dai diversi protagonisti: i gattopardi, appunto.

La ricostruzione di come funziona davvero il sistema criminale nel nostro Paese.

I Gattopardi sono il prodotto della strategia di Bernardo Provenzano che ha voluto “una leva di giovani laureati, capaci, flessibili ma educati al rispetto dei codici d’onore”.

Una strategia inquinante che sta trasformando la zona grigia degli affari e della corruzione in un buco nero che rischia di inghiottire le migliori risorse umane e materiali del Sud.

Medici, architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, banchieri, funzionari locali e uomini delle istituzioni vengono inglobati nel sistema di potere che ruota attorno ai clan.

Frasi e concetti forti che qualcuno cercherà di liquidare come i soliti estremismi di antimafiologi professionali.

Ma non sarà così facile, perché il lavoro di Cantone e Di Feo è denso di riferimenti di cronaca.

Il magistrato esperto di territori e usi camorristi non si improvvisa tuttologo e affida l’analisi degli altri ceppi criminali all’esperienza del giornalista.

Ne risulta un quadro convincente delle analogie nell’azione dei clan a prescindere dalle loro radici geografiche: con piccolissime varianti locali, le cosche premono senza sosta sulla società, l’economia, la burocrazia, l’amministrazione fino a delineare non una questione morale, ma criminale.

Dalla convivenza si è passati alla connivenza, dall’omertà alla complicità, grazie all’accettazione di un modello mafioso che anche quando non assume rilevanza penale alimenta la palude in cui rischia di affondare il Sud.

Solo il Sud?

Se la borghesia che popola i meravigliosi e cadenti centri storici del Meridione nega da sempre l’immagine del degrado, della violenza, del malaffare che attanaglia le pur contigue periferie, un’identica logica miope ha portato per decenni l’Italia a voltare il capo e magari insultare la ‘sua’ periferia – il Sud – fino a risvegliarsi con pezzi di Centro e Nord contesi o già conquistati dal crimine.

Oggi la mafia i soldi li fa con la testa e non con i muscoli, anche se la violenza è un’opzione costante e dirimente.

Ma – avvertono gli autori – è ormai dimostrato che a dischiudere ai boss le porte del Nord non sono state paura e sopraffazione, ma ingordigia e convenienza.

Un capitolo trattato con originale organicità è quello della mimesi sociale che ha infiltrato le mafie nel mondo del pallone.

Il calcio, specie quello locale, significa denaro (scommesse, merchandising, bagarinaggio, sponsor) e insieme visibilità, consenso interclassista, presa sui giovani e le loro famiglie.

Un impasto perversamente efficace di business e controllo sociale, utile al momento del voto. Un mondo da spolpare alla pari dei Comuni infiltrati, della sanità cadente, dei lavori pubblici malfatti.

Quanto all’ultimo capitolo, dal titolo “Per guardare oltre”, va letto e riletto con cura perché è un’autentica miniera di riflessioni e stimoli che Cantone svolge da uomo pacato e magistrato garantista qual è.

Per dire: l’idea di contrastare la mafia con la sola repressione è (a esser buoni) riduttiva; è da non-governanti rispondere a momenti di stress sociale o mediatico aumentando le pene, ma riducendo strumenti di indagine e quindi possibilità di comminarne; il carcere duro è a oggi indispensabile, ma c’è da augurarsi che un giorno se ne possa fare a meno, perché cancella la funzione rieducativa della pena.

A chi si rivolge, e continuerà a rivolgersi, l’imprenditore per condurre in porto un lavoro finché un Tar, una Asl o una prefettura impiegheranno anni a dare le risposte necessarie?

La domanda resta giustamente aperta perché non si può civilmente giustificare alcuna convenienza che porti a una stretta di mano tra boss e imprese.

Ma una risposta viene dalle parole di un eroe dell’antimafia, Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato 28 anni fa da Cosa nostra: “Ho capito una cosa molto semplice ma forse decisiva – disse a Giorgio Bocca l’allora prefetto di Palermo – “Gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini, non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati”.

Non è ancora accaduto.