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Da Londra ad Arezzo: Antonio Caprarica al Giardino

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Sabato 6 aprile 2013 alle ore 17.00 presenterà il suo ultimo libro “Ci vorrebbe una Thatcher” nella splendida cornice della Sala delle Muse del Museo Nazionale d'Arte Medieovale e Moderna di Arezzo in via San Lorentino,8 (INFO: 0575 409050) con ingresso libero e gratuito.
A moderare l’incontro Barbara Bianconi accompagnata dal giornalista e caposervizio del quotidiano La Nazione Sergio Rossi.
Antonio Caprarica, giornalista e scrittore, è stato commentatore politico dell’Unità e poi condirettore di Paese Sera.
Tra il 1988 e il 2006 è stato successivamente a capo delle sedi di Corrispondenza della RAI a Gerusalemme, al Cairo, a Mosca, Londra e Parigi.
Dopo tre anni a Roma come direttore di Radio Uno e dei Giornali Radio Rai, dal 2010 è tornato a dirigere la sede RAI nell’amata Londra.
E’ vincitore di prestigiosi premi di giornalismo, fra i quali Ischia, Fregene, Frajese, Val di Sole, Barocco.

Al centro di questo libro c’è un Paese considerato il «grande malato d’Europa»: la sua industria è in declino, il costo della vita cresciuto, il debito pubblico incontenibile, tanto che il governo è sul punto di chiedere l’aiuto del fondo monetario internazionale.

Sembra una fotografia dell’Italia di oggi, e invece è il ritratto della Gran Bretagna alla fine degli anni Settanta, poco prima che a Downing Street arrivasse la più intransigente esponente dei conservatori britannici, Margaret Thatcher.

Con una fede incrollabile nel liberismo, la Lady di Ferro somministrò al Regno una medicina amarissima, fatta di tagli alla spesa, privatizzazione delle aziende statali e deregulation.

Una cura che sembrò, sulle prime, ammazzare il paziente, ma che al contrario lo guarì in breve tempo.

Perché ricordare oggi la lezione dell’inflessibile Maggie?

Soprattutto per scoprire come si vive in una nazione dove l’economia è governata dalle regole del mercato e le istituzioni operano in modo trasparente.

Un confronto ricco di esempi, a tratti provocatorio, che l’arguta penna di Caprarica tratteggia in agili capitoli cercando di rispondere a una questione annosa: perché è così difficile fare dell’Italia uno Stato europeo finalmente moderno?