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Mario, folle per sbaglio

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Ha trascorso in manicomio la quasi totalità della sua vita. E’ uscito solo perché la sua “casa” è scomparsa con la legge 180. Adesso vive nella Rsa di Stia e la sua storia è diventata un libro, “Il manicomio è casa mia”, curato da Claudio Repek e pubblicato dalla casa editrice romana Liberetà nella collana PassatoFuturo.
Verrà presentato venerdì 28 giugno, alle ore 15, nelle terme di Stia. Interverranno Luca Santini, sindaco di Stia e Presidente del Parco Nazionale Foreste Casentinesi; Roberto Vasai, Presidente della Provincia di Arezzo, Enrico Desideri, direttore Generale ASL 8 e Vincenzo Ceccarelli, Assessore della Regione Toscana. Le ragioni del libro verranno illustrate da Giuseppe Selvi, Segretario generale SPI CGIL Arezzo ed Elza Poponcini, segretaria dello stesso sindacato. Quindi le memorie di Anna Franca Rinaldelli, Italo Galastri e Gian Paolo Guelfi che hanno commentato e interpretato, nel volume, la vicenda di Mario Stefani in relazione a quella, più vasta, del movimento per la chiusura dei manicomi.
Le conclusione saranno di Daniela Cappelli, segretaria generale SPI CGIL Toscana. Verranno letti, da Rolando Milleri, brani del libro e la presentazione sarà condotta da Marzia Sandroni, responsabile della comunicazione e del marketing della Asl 8.

Scheda del libro
La storia di Mario Stefani è quella di un ragazzo di 15 anni che nel 1937, in seguito ad una serie di attacchi epilettici, venne ricoverato al Manicomio provinciale di Arezzo. Vi restò ininterrottamente fino al 1991, passando poi in una struttura di “transito” attivata per ospitare lungodegenti dopo la chiusura dell’ospedale psichiatrico. Qui visse fino al 1999 quando accettò il trasferimento nella Rsa di Stia della quale è tuttora ospite.

Ragazzino vissuto nella montagna casentinese, orfano di padre poco tempo prima del ricovero, venne strappato al suo ambiente e rinchiuso in un luogo più carcerario che di cura. Le sue condizioni mentali migliorarono rapidamente ma lui restò in manicomio ritagliandosi uno spazio considerato unico dagli stessi operatori come testimonia la cartella clinica conservata presso l’Archivio storico dell’ospedale neuropsichiatrico nell’università aretina. Privo di strumenti culturali, diventò una sorta di piccolo assistente per gli infermieri svolgendo i lavori più difficili e più sporchi: dal lavare i malati al vestire i morti. Si guadagnò l’appellativo di “infermierino”.

“Stabilizzata” la sua vita all’interno della struttura segregativa, visse con diffidenza se non con ostilità la progressiva chiusura del manicomio e quindi il ritorno a casa dei pazienti. Rifiutò le dimissioni definitive e continuò a considerare il manicomio la sua casa. Diventando, così, un vero e proprio esempio degli effetti dell’istituzionalizzazione psichiatrica.

Alla fine, ormai ultra ottantenne, accettò il trasferimento nella Rsa di Stia. Dall’età di 15 anni, quindi, non è più tornato a casa né ha vissuto in libertà.

Alla storia di Mario, raccontata da Claudio Repek, si aggiungono le interpretazioni e le riflessioni di protagonisti di quel periodo e che hanno conosciuto Mario Stefani in ospedale psichiatrico. Quindi Anna Franca Rinaldelli, assistente sociale e psicoterapeuta della famiglia che ha lavorato in Opn dal 1968 al 1974 e Gian Paolo Guelfi, psichiatra nella stessa struttura dal 1971. Entrambi stretti collaboratori di Agostino Pirella, protagonista della chiusura del manicomio. Con loro Italo Galastri, assessore e vice Presidente della Provincia al momento della scelta non solo culturale ma anche amministrativa di chiudere il manicomio.

La prefazione del volume è di Carla Cantone, Segretario generale dello Spi Cgil che a proposito della volontà di Mario Stefani di restare in manicomio, scrive: “leggendo questo libro abbiamo imparato un po’ a conoscere il suo carattere, il suo accettare tutto, anche la follia, il suo tenersi dentro, insieme con il suo, anche il dolore degli altri. Probabilmente questo mistero rimarrà chiuso nel suo silenzi”.