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Crisi: Felice, per l’Italia non servono misure di breve periodo

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Milano, 24 set. (Adnkronos) – Per risollevare l’economia italiana non basteranno misure di breve periodo perché il declino è strutturale e le origini vanno ricercate nella crisi economica degli anni Settanta. Emanuele Felice, economista italiano di 37 anni con una cattedra di Storia economica all’Università Autonoma di Barcellona, commenta con l’Adnkronos le parole del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ieri ha messo in guardia dal pericolo di “stagnazione secolare” per l’Italia. “Ha ragione”, dice Felice che per la ripresa guarda alla Spagna.
“L’Italia – spiega il docente – ha avuto un tasso di crescita superiore a quello degli altri paesi Ocse nella prima metà degli anni Novanta, poi negli ultimi vent’anni la sua crescita si è fermata”. Dal 2008 ad oggi, la crisi economica-finanziaria ha messo in luce i problemi strutturali del Paese che “possono essere superati solo da una classe politica all’altezza” e che chiedono riforme di lungo periodo, non soluzioni tampone che avrebbero solo “effetti palliativo”.
Uscire dall’euro o innalzare barriere doganali, ad esempio, “avrebbero effetti positivi nel breve periodo, ma sarebbero una soluzione sbagliata perché non superano il problema del declino strutturale dell’Italia” dovuto anche “alla specializzazione nella produzione di prodotti che hanno un basso valore aggiunto”. Una soluzione, sostiene Felice, sarebbe quella di “investire per colmare il deficit infrastrutturale che aiuterebbe l’economia italiana sia nel breve che nel lungo periodo”. (segue)
‘Spagna bene grazie a pa efficiente, giustizia certa, fisco basso’
(Adnkronos) – I temi sul tavolo del governo, lavoro, giustizia e fisco, possono aiutare l’Italia a recuperare terreno per quanto riguarda la “performance istituzionale che, dagli anni ’80 in poi, si è involuta e che non siamo mai riusciti a rimettere in sesto”. Felice sottolinea che “in Spagna è successo il contrario: in quello stesso periodo si è realizzata una modernizzazione che ha portato il Paese a dotarsi di un’architettura istituzionale che è ora al livello di quella dei paesi avanzati”. In Italia no, “da terzo mondo”, dice.
“La Spagna – spiega – ha un contesto istituzionale che funziona: l’amministrazione pubblica è semplice, la giustizia certa e il fisco è leggero e comprensibile”. Quanto questi impatti sulle prospettive di crescita di un paese lo si nota dalle stime dell’Italia e della Spagna: nel 2014 i due paesi registreranno, rispettivamente, un -0,4% e un +1,2% nel conteggio del pil.
“Una scuola di pensiero – spiega Felice – sostiene che questa migliore situazione sia dovuta alla riforma del lavoro che in Spagna è stata fatta e che in Italia si sta discutendo ora, ma in realtà ha avuto un impatto marginale”. Secondo il professore, a spingere il più grande paese della penisola iberica è stato proprio il contesto istituzionale: “è una nazione più debole dell’Italia dal punto di vista industriale, ma che ha saputo investire ottenere risultati nel breve periodo grazie alla riforma del lavoro e agli investimenti nelle infrastrutture, ma che ha scelto di adeguarsi ai migliori standard di architettura istituzionale”. E cresce.