Roma, 13 ott. (Adnkronos) – “Kobane è diventata il simbolo dell’empasse politico-umanitaria della zona”. E’ il segretario generale dell’organizzazione umanitaria Intersos, Marco Rotelli, da poco rientrato in Italia dalla zona di conflitto fra i peshmerga curdi e le milizie dello stato islamico al confine fra Iraq e Turchia, a sottolineare all’Adnkronos che “l’intervento della coalizione anti-Is non sta cambiando le sorti delle migliaia di sfollati”. Sono oltre 2.500 le persone arrivate nelle ultime due settimane nel campo di Gawilan nel Kurdistan iracheno, dove opera l’ong, per mettersi in salvo dai combattimenti che stanno devastando la città.
Oltre alle difficoltà operative da affrontare, fra queste mancanza di acqua e medicinali di base, “il pericolo per gli operatori – dovuto alla forte ostilità delle milizie del Califfato – è più alto che in altre occasioni”. Gli sfollati inoltre arrivano in condizioni fisiche precarie. Compiono un tragitto di 500 chilometri, passando per il confine siriano allo scopo di evitare le linee di scontro e trovare la salvezza nei pressi di Erbil, a Gawilan, nel nord dell’Iraq. “La nostra risposta è rallentata, servono maggiori aiuti”, afferma Rotelli. “In molti casi il nostro supporto non può arrivare – spiega – sia per gli scontri a terra che per i bombardamenti della coalizione”.
Mauro Celladin, operatore Intersos ora a Gawilan, mette in conto anche che, se Kobane dovesse cadere, “in 50mila potrebbero dirigersi verso Erbil” in fuga dalla città curda. Le difficoltà, rivela Celladin, sono imponenti e a volte “le razioni non bastano per tutti”. Nonostante la situazione sia critica, però, il segretario Intersos Marco Rotelli vede un possibile ruolo internazionale che il nostro Paese potrebbe ritagliarsi nell’ambito della crisi. “Le competenze in campo umanitario dell’Italia potrebbero dare al nostro Paese – conclude Rotelli – un ruolo di primo piano nell’affrontare la situazione attuale”.