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Pessi, licenziamento disciplinare in 98 casi su 100

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Roma, 18 nov. (Labitalia) – “Il licenziamento illegittimo per motivi disciplinari nelle aziende con più di 15 dipendenti, quelle interessate dall’art.18, riguarda nella stragrande maggioranza dei casi, direi almeno 98 su 100, il licenziamento per motivi disciplinari. Solo uno su 100 è discriminatorio e solo uno su 100 è economico”. Così Roberto Pessi, giuslavorista e prorettore alla didattica della Luiss Guido Carli, spiega a Labitalia il peso nel contenzioso tra datore e lavoratore, del motivo disciplinare.
“Il motivo per cui le aziende ricorrono più di frequente alla causa disciplinare -aggiunge Pessi- è presto detto. Intanto, c’è una norma che stabilisce che se i licenziamenti di natura economica interessano più di 5 persone nell’arco di 120 giorni, si avvia una procedura di licenziamento collettivo. E poi, soprattutto, il licenziamento disciplinare risponde a un criterio ‘soggettivo’. La norma, infatti, dice che si è licenziabili ‘per notevole inadempimento’, e sul quel ‘notevole’ si esercita un parere personale, prima di tutto del datore”.
“I giudici, poi, messi di fronte a una causa di licenziamento illegittimo, devono applicare un criterio di proporzionalità tra il comportamento ‘incriminato’ e la pena. Cosa difficile, perché se il comportamento è stato giudicato gravemente inadeguato, mettiamo valutato 6 in una scala da 1 a 6, c’è sicuramente il licenziamento. Ma se è stato giudicato 6-, la pena massima è la sospensione massima fino a 10 giorni”.
Quel che è certo, spiega il giuslavorista, è che “la questione della legittimità del licenziamento disciplinare è il cuore dei poteri imprenditoriali e delle tutele del lavoratore”.
E in questa luce ‘ambivalente’, due sono i timori principali in ballo anche nel Jobs Act in queste ore in discussione alla Camera. “Da una parte -dice Pessi- non prevedere la reintegra in un licenziamento disciplinare illegittimo significa di fatto, lasciare al datore libertà nell’arbitrio del licenziamento in cambio di un pagamento monetario. Prevederla, significa invece tutelare forse anche il lavoratore non corretto”.
La palla, però, passerà, quasi sicuramente, ai decreti delegati, dove si dovrà affrontare il tema delle fattispecie per le quali è ammessa la reintegra e quelle che invece la escluderanno. “Sarà difficile -conclude Pessi- trovare una buona soluzione di equilibrio: se non si vorrà garantire la reintegra (tesi Sacconi) nel 99% dei casi, prevarranno tesi superrestrittive. Se non la si vorrà garantire nel 90% dei casi (tesi Damiano) si scriveranno due fattispecie ‘minime’ di confine”.