Home Nazionale Sanità: ricoveri ripetuti, sindrome da ‘porta girevole’ per 15% malati

Sanità: ricoveri ripetuti, sindrome da ‘porta girevole’ per 15% malati

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Roma, 13 ott. (AdnKronos Salute) – Si chiamano riammissioni e sono il fenomeno per il quale un paziente torna in ospedale entro 30 giorni dal primo ricovero. Rappresentano, insieme alla mortalità, uno dei parametri di efficienza della struttura sanitaria. In Italia interessano il tra il 9% e il 15% dei pazienti ricoverati, mentre la necessità di tornare in ospedale o in sala operatoria dopo un intervento chirurgico coinvolge il 4% dei pazienti: 16 mila casi l’anno. “L’hanno chiamata ‘sindrome da porta girevole’ e sono gli anziani i più a rischio”, spiega Francesco Corcione, presidente eletto della Società italiana di chirurgia, a congresso a Roma sino al 15 ottobre.
“Un recente studio effettuato su 2 milioni e 400 mila pazienti americani da Keith Kocher dell’University of Michigan School of Medicine e pubblicato su Lancet – sottolinea – ha riscontrato come quasi un paziente anziano su 5 torni al pronto soccorso dopo un intervento chirurgico: il 17,3% una volta e il 4,4% più volte nei 30 giorni successivi. L’analisi è stata effettuata su pazienti con più di 65 anni sottoposti ai 6 interventi chirurgici più comuni negli Usa: angioplastica, bypass coronarico, aneurisma addominale, frattura di anca, neurochirurgia per la schiena e resezioni del colon per cause oncologiche operati nell’ambito del servizio Medicare che assiste gli over 65 “.
Ma diminuire questi numeri è possibile. “Si è visto che il tasso di complicanze dopo un intervento alla colecisti eseguito in laparoscopia e quindi con tecniche mini-invasive è sceso dal 2,28% del 2010 al 1,52% nel 2012, secondo i dati del Programma nazionale esiti dell’Agenas 2013 che ha valutato gli indici in 1400 ospedali pubblici e privati”.
Per migliorare, secondo la Sic serve elevare la qualità delle cure e soprattutto una più efficace gestione della dimissione del paziente, con istruzioni più chiare e un dialogo con la medicina di territorio. La gestione della dimissione dal setting ospedaliero deve quindi essere ottimizzata per facilitare la presa in carico del malato da parte dell’assistenza territoriale, che a questo punto sostituirebbe l’ospedale nell’assumere il ruolo di riferimento principale per il paziente e i suoi eventuali (ulteriori) bisogni di cura.
“Un paziente chirurgico è comunque più fragile, ha modificato le proprie abitudini, è stato allettato, ha ricevuto farmaci e altri medicamenti che possono alterare le condizioni fisiche e cognitive che aprono la strada ad una nuova patologia o a un malessere che non si esaurisce con la convalescenza e che necessita di ulteriori cure”, osserva Corcione.
Sono stati identificati diversi fattori su cui intervenire: check list scrupolose, tecniche chirurgiche impeccabili e standardizzate, uso di strumenti avanzati in sala operatorie per il controllo delle complicanze, selezione dei pazienti da trattenere in terapia intensiva. Tutto questo rende la chirurgia più sicura.