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Alimenti: pasta cotta in laboratorio, progetto Ue su contaminanti cibo

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Roma, 13 ott. (AdnKronos Salute) – A quali contaminanti siamo esposti quotidianamente quando siamo a tavola? Negli anni diverse indagini hanno tentato una risposta, basandosi sull’analisi dei singoli alimenti e trovando a volte tracce di metalli pesanti, a volte residui di pesticidi, a volte di diossine e altre sostanze nocive. Ma questo in assenza di metodi di misurazione e di valutazione dell’esposizione condivisi e standardizzati. Ora una risposta arriverà da un progetto europeo (Tds-Exposure) che coinvolge 19 Paesi tra cui l’Italia: il lavoro porterà in laboratorio la pasta, ma anche la pizza e tutti gli altri piatti chiave dell’alimentazione della Penisola, per far luce sui contaminanti presenti e sui contenuti nutrizionali.
In questo lavoro l’Italia è rappresentata dall’Istituto superiore di sanità, che insieme agli altri enti di ricerca intende perfezionare e standardizzare il monitoraggio della nostra esposizione a contaminanti chimici e della nostra assunzione di nutrienti, ma anche di altri componenti alimentari finora poco studiati. Il tutto con un duplice scopo: da una parte sapere quanto la popolazione assume in media sostanze nocive per capire se vi sono rischi e individuare le necessarie soluzioni, e dall’altra parte conoscere anche la qualità nutrizionale di ciò che mangiamo. Sapere ad esempio se siamo carenti di qualche vitamina o meno, e studiare i possibili fattori causali di determinate patologie legate all’alimentazione.
Valutare, in ultima analisi, l’impatto sulla salute della nostra dieta, ovvero non degli alimenti che compriamo al mercato, ma di quelli che ogni giorno cuciniamo e, così come li abbiamo preparati, mangiamo. L’indagine si basa infatti sui cosiddetti studi di dieta totale (Total Diet Studies, Tds): i ricercatori vanno cioè ad esaminare non il singolo alimento, bensì la dieta tipica di ciascun Paese nel suo complesso. Raccolgono campioni di cibo, li trasformano in laboratorio secondo le procedure domestiche (cuociono ad esempio la carne e la pasta), riproducendo perciò un vero e proprio pasto, e li analizzano dal punto di vista chimico.
(segue)
Gli scienziati moltiplicano poi i livelli analitici delle sostanze riscontrate per i livelli del consumo medio, determinando così l’assunzione media delle sostanze chimiche, dunque l’esposizione e il rischio associato al consumo. Ed è quello che sta facendo in Italia l’Istituto superiore di sanità con una ricerca coordinata da Francesco Cubadda, in cui a fornire i dati di consumo è il Cra-Nut.
“Abbiamo raccolto nel periodo 2012-2014 – spiega Cubadda – in quattro città rappresentative del Nord-Est, del Nord-Ovest, del Centro, del Sud e delle Isole, migliaia di campioni alimentari, li abbiamo trasformati in laboratorio ottenendo blocchi di matrici alimentari, ovvero categorie, che poi siamo andati ad analizzare chimicamente. Nel 2015 ci aspettiamo i primi risultati”. La stima dell’esposizione verrà condotta per le varie fasce di popolazione distinte per sesso e per età (bambini, adolescenti, adulti, anziani) e verranno valutati anche i casi di forti consumatori di una singola tipologia alimentare.
Un metodo, quello dei Tds, che nel 2011 l’Oms, la Fao e l’Efsa “in un documento congiunto hanno definito come l’approccio giusto per studiare l’esposizione ai contaminanti chimici, raccomandandone al contempo l’armonizzazione a livello europeo”, ricorda l’Iss. Scopo ultimo del progetto è “armonizzare approcci e procedure al fine di riunire poi tutti i dati in un unico database”.