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Strategie di Csr per il 73% delle imprese italiane

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(AdnKronos) – Aumenta il numero di imprese italiane impegnate nella responsabilità sociale (Csr), anche se diminuisce il budget dedicato. Lo rileva la sesta edizione del rapporto dell’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione in partnership con l’istituto Ixè. Nel 2011, anno di riferimento della precedente rilevazione, le imprese che dichiaravano di impegnarsi nella responsabilità sociale d’impresa erano il 64%; nel VI rapporto ad attuare una strategia di Csr è il 73% delle imprese italiane con più di 80 dipendenti.
Nel contempo, per effetto della crisi economica di questi anni, le risorse dedicate hanno subito una contrazione: la cifra media investita in Csr nel 2013 è infatti inferiore del 25% a quella del 2011. Si spende meno, però il numero di imprese interessate è in aumento. E per il 2014 il budget medio torna a crescere, con un aumento del 7% rispetto al 2013: da 158 mila euro (media 2013) a 169mila euro (media 2014).
Anche nel 2013 l’importo totale delle risorse destinate in Csr a livello nazionale si è comunque attestato intorno al miliardo di euro (cifra di riferimento del precedente rapporto): 920 milioni di euro per l’esattezza. I settori più attivi nella Csr sono il finance, il commercio, il farmaceutico e il manifatturiero; alta sensibilità e attenzione anche nel settore tecnologico-informatico.
E’ nella scelta delle strategie di Csr che si registra il cambiamento più rilevante rispetto all’ultimo rapporto. Se infatti prima era più diffusa la dimensione esterna della responsabilità sociale, quella collegata ad esempio a donazioni umanitarie, ora e per il futuro le imprese puntano sull’ambiente.
Il 54% del campione dichiara di aver attivato misure cogenti di contenimento degli sprechi di carta, acqua, illuminazione ed avanzi nelle mense; seguono investimenti per migliorare sul risparmio energetico (36%), l’introduzione o il potenziamento della raccolta differenziata (33%), nuove tecnologie per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti (33%). In netto calo le donazioni in denaro (solo il 26% dichiara di organizzarle all’interno della propria impresa) e attività filantropiche (24%).
Per quanto concerne il terreno prescelto per le proprie attività di responsabilità sociale, a parte l’interno dell’azienda (scelto dalla gran parte delle aziende) le altre attività di Csr si concentrano in prima battuta sul territorio locale dell’azienda (42%). Dunque con la Csr le aziende cercano anche un miglioramento nei propri ‘’rapporti di vicinato’’. Insomma, le due parole chiave di questo rapporto, sono “attenzione” (agli sprechi, ai dipendenti, all’ambiente) e “risparmio”, sottoliena Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis.
La prima motivazione a fare responsabilità sociale è ‘’reputazionale’’ (47%), in seconda battuta viene segnalato l’effetto sul business (27%) e sul clima interno (27%). Il principale criterio di scelta delle iniziative da sostenere o attuare è la loro visibilità (40%); poi l’area geografica (31%), ovvero il legame con il territorio; la possibilità di coinvolgere il personale (28%) e quella di misurare i risultati dell’iniziativa (23%).
Il primo vantaggio riconosciuto dalle imprese che hanno fatto Csr è nel miglioramento del clima interno e nel coinvolgimento dei dipendenti: a pensarla così il 46% delle aziende; solo il 36% registra invece il verificarsi dell’effettivo ritorno reputazionale prospettato all’inizio. Secondo le imprese intervistate, ad impegnarsi per diffondere la cultura di comportamenti ‘’socialmente responsabili’’ è soprattutto il ‘’privato cittadino’’ (16%), azienda (18%), terzo settore (15%). Le pubbliche amministrazioni e le università vengono considerate ‘’meno interessate’’.
Solo il 5% degli intervistati riconosce alle istituzioni accademiche del nostro Paese un contributo alla Csr. Maglia nera alle istituzioni nazionali: solo il 3% degli intervistati le considera impegnate a diffondere comportamenti responsabili. Ed è invece proprio a loro che il 75% delle aziende intervistate continua a chiedere a gran voce, anche in questo rapporto, norme istituzionali premianti per chi fa Csr: sgravi fiscali, riconoscimenti, certificazioni.
Il 40% delle imprese interpellate ritiene che la crisi abbia generato, o perlomeno sostenuto, uno sviluppo dell’attenzione verso la responsabilità sociale. Il 46% delle imprese sceglie e valuta i propri fornitori anche in considerazione del loro impegno nella Csr, aspetto cui sono più interessate le aziende del settore gomma e plastica, il metallurgico e l’informatica/elettronica/telecomunicazioni.
Per il futuro la direzione d’investimento complessivamente più referenziata è quella della sostenibilità ambientale: riduzione degli sprechi in primis (64%), seguita dalla riduzione dell’inquinamento (51%). A seguire, ad una certa distanza percentuale, le pari opportunità (25%) e l’integrazione sociale (21%).